Abitudine del cuore

PIENAMENTE SE’ – abitudine del cuore

Dicono che sia il Cristo, l’Unto.
Può darsi, ma io che c’entro?
(Corrado di Pietro – Il Cireneo)

Inizia il “tempo santo” (Inno dei primi Vespri); quarantena dell’anima e del corpo, dei pensieri e delle passioni. La domanda che il poeta mette in bocca al (suo) Cireneo fonda questi quaranta giorni a venire: io che c’entro?

Occorre coraggio nel tentare una strada diversa dall’abitudine; abituata alla pratica, alla norma. Occorre abituare il cuore; Quaresima è pratica di abitudine del cuore e rigetto di abitudini di forma.

E’ pedagogia – quella del tempo forte – del modo in cui dovrebbe essere la vita ordinaria del cristiano, di chi Gli appartiene.

Non basta attenderLo e riconoscerLo; occorre attenderLo, occorre riconoscerLo; ma richiede un superamento, la Sua Passione, la Sua quarantena. Cioè, io davanti a tutto-Lui. Perciò il tempo dei catecumeni è questo; a ribadirci, noi abituati alle pratiche, la nostra identità in Lui.

Sono giorni fondamentali; fondamenta del nostro essere. Il rischio è sempre imminente; l’uomo “voltandosi, se n’è andato per le strade del suo cuore” (Is 57,17b). Per questo occorre abituarlo.

Non alla pratica sterile e fine a sé stessa; “voi digiunate fra litigi e alterchi” (Is 58,4a) denuncia causticamente il profeta. E’ il paradosso in cui si incappa quando si vuole elevare la pratica invece che il cuore; quando pratichiamo senza cuore. Senza senso.

Più che giorni mesti e spenti, di volti tristi e di malinconie, quelli di quarantena sono giorni nei quali sperimentare la consolazione e la guarigione: “voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni” (Is 57,18b). Giorni in cui chiedere rinnovamento del nostro Battesimo, della nostra identità. E’ abitudine nuova a chi siamo. Giorni in cui domandarsi ma io che c’entro?

L’immagine d’entrata, offerta dalla liturgia, è tanto forte quanto paradigmatica: “Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo” (Mt 4,1). Ecco l’abitudine del cuore. Esattamente dopo il Suo Battesimo, infatti “nessuno conosce se stesso se non è tentato” (Agostino). Anch’Egli, sceso al nostro piano, accetta di essere provato. Il Figlio accetta di essere messo alla prova dal tentatore, colui che in noi è causa di lotta interna. Abitudine è legarsi a Chi riconosciamo meritevole di fiducia.

Un cuore abituato a combattere, a resistere; a controbattere al dubbio. “Quando dunque Cristo ha voluto essere tentato da Satana, si è posto come figura di tutti noi. Sì, Cristo fu tentato dal diavolo perché nel Cristo eri tu a conoscere la tentazione” (Agostino).

Egli ci mostra la strategia di battaglia ad una verità troppo taciuta; “il mio peccato mi sta sempre dinanzi” (Sal 51,5b). La prima tappa del cammino quaresimale/battesimale focalizza la nostra natura di peccatori; è il “leggero peso” (2Cor 4,17a) vissuto qui ed ora. E’ senso del limite.

Il Cristo accetta la tentazione per mostrarci la strategia vincente. Non scende a compromesso; ci insegna a non abituare il cuore al peccato. Scendere a compromesso con le nostre abitudini ci indebolisce. Per ben tre volte controbatte con “sta scritto” (Mt 4,4.7.10); è un cuore abituato al pensiero del Padre. Questa è l’abitudine alla quale educarci di fronte al reale.

Di questa natura corrotta, che Egli è venuto a redimere, Paolo avverte tutto il peso e la portata: “se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno” (2Cor 4,16b). E’ esattamente l’abitudine non per le “cose visibili” (2Cor 4,18a) ma per ciò che è Eterno.

Quaresima è dunque tempo di rinnovamento interiore, di cambiamento di mentalità e di pensiero; ferma decisione di di fronte al peccato.

L’Uomo della Croce, accettando la tentazione, ne disarma l’autore, senza alcun compromesso. A dirci già che questa mortalità è destinata a ben Altro. A questo il cuore si deve abituare.

Alessandro