Chiamato appresso

PIENAMENTE NOI – chiamato appresso

Resta, resta con me,
bel forestiero, dolce amore,
bello dolce amore,
e non lasciare quest’anima!
Ah, come diverso e bello
vive il cielo, vive la terra,
ah, come sento, come sento
la vita per la prima volta!
(Johann Wolfgang von Goethe)

La dipartita, la Sua, è un velato rimanere; anzi, è proprio andandosene che sigilla il Suo rimanere. Perché tutto sia finalmente compiuto – consummatum est!Egli promette Qualcun Altro. La Sua venuta non è incidente storico, destinata a toni nostalgici che vanno via via raffreddandosi.

Perché tutto si compia “verrà il Paràclito” (Gv 15,26a); è la Sua promessa. Pienezza di Pasqua è l’effusione dello Spirito. Pentecoste. La liturgia sta preparando i cuori, rinvigorisce l’attesa; è altro Natale, altro Avvento. Di Uno, però, che rimane – Lui – per sempre e sempre sovviene. Paràclito, lo chiama Gesù, perché è Colui da chiamare presso di sé; è avvocato difensore.

Sua missione è dare “testimonianza di me” (Gv 15,26b), provocandola in coloro che Lo ricevono; “anche voi date testimonianza” (Gv 15,27a). Lo Spirito Santo suscita una testimonianza-testimoniale.

E’ ciò che scrive Paolo alla comunità di Corinto: “a voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto” (1Cor 15,3a). Questa è l’opera del Paràclito: renderci anzitutto ricettori di un’oggettività. Non si è in grado di dare ciò che non si ha ricevuto.

Gesù educa i suoi a invocarLo; nominandoLo come “Colui da chiamare appresso” li invita a farlo, inaugura uno stile. La testimonianza nasce dall’invocazione. Tertulliano efficacemente Lo nomencla “vostro allenatore”. E’ allenatore di martyria.

Il Paràclito è garante del cuore stesso della nostra fede; il kerygma, cioè “che Cristo morì per i nostri peccati, e che fu sepolto e che è risorto” (1Cor 15,3b-4). E’ Sua missione in noi. Attestare interiormente la parola della Risurrezione. Il Paràclito ha solo questa parola, questa testimonianza.

Paolo, davanti al re Agrippa, constata la contraddizione a questa parola: “perché fra voi è considerato incredibile che Dio risusciti i morti?” (At 26,8). L’in-credibilità, cioè, sta nel fatto di non credere ad un evento chiaro e limpido che si palesa di fronte. Mi provoca.

Per questo Spirito, Paolo è costituito “ministro e testimone” (At 26,16b). Il Paràclito da invocare a sé è causa di ministerialità e di annuncio; ma prima – e Paolo lo ha ben chiaro – è causa di un profondo cambiamento, provocatore di conversione. La Sua presenza è così potente, così apportatrice di luce che l’Apostolo è costretto ad arrendersi: “io non ho disobbedito alla visione celeste” (At 26,19b).

Occorre arrendersi al Paràclito, farGli spazio in noi; la nostra resa permette la Sua venuta. Pedagogia pasquale di Gesù è lasciarci perennemente nel bisogno, mai completamente soddisfatti; è pedagogia che annienta chiusure ed egoismi, che ci rende dipendenti all’invocazione di aiuto. Ho bisogno di un Altro. Ne ho bisogno continuamente.

La logica del Paràclito è dunque quella di farci sentire continuamente legati ad un piano soprannaturale in grado di amplificare e completare la nostra natura. Per essere pienamente noi sempre è da chiamare presso di noi. E’ l’unica vittoria all’autodeterminarsi nostro.

Il rischio – alquanto alto – è quello di avvertirLo solo come un bel forestiero e non come l’Amico a me più intimo della mia stessa intimità.

La domanda sorge spontanea: dove sono, questi amici dell’Amico?

Alessandro