Contemporaneo a ma

PIENAMENTE NOI – contemporaneo a me

Mentre il creato ascende in Cristo al Padre,
nell’arcana sorte
tutto è doglia del parto:
quanto morir perch
é la vita nasca!

(Clemente Rebora)

Quaranta giorni Lo preparano a “compiere il ministero” (Ef 4,12a) pubblico. Altri quaranta ne passarono per preparare i suoi alla novità della Risurrezione.

Gesù in persona stette in mezzo a loro” (Lc 24,36); il Risorto non perde la sua corporeità, tanto che “mangiò davanti a loro” (Lc 24,42b). Ha uno stomaco che chiede di essere riempito. Nobilita anche il più ovvio dei gesti, il più impellente dei bisogni. Il Suo è un accorpare.

I Suoi ultimi quaranta giorni sono giorni semplici nella novità Sua; “aprì loro la mente per comprendere le Scritture” (Lc 24,45). Battute ultime di un’Esistenza che ha lasciato squarcio incolmabile.

Ma giunge il tempo del ritorno; e suoi ne fanno una questione temporale: “Signore, è questo il tempo?” (At 1,6b). Se non ora, quando? Se non ora, perché? Non colgono ancora la portata dell’avvenimento. Hanno paura di essere abbandonati, lasciati. E’ richiesta di compimento di tutte le loro attese. Hanno paura del tempo; è più facile rifugiarsi in un “tempio” (Lc 24,53).

Gesù li ammonisce riguardo la loro ansia di cronologia, invitandoli a vivere l’evento, il kairos, e non il momento; la contemporaneità possibile all’evento. Il distacco ha il sapore di promessa: “io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso” (Lc 24,49a). La loro testimonianza è subordinata alla “forza” (At 1,8a) dello Spirito Santo.

Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo” (Lc 24,51). E’ questo il momento nel quale diviene “pienezza di tutte le cose” (Ef 4,10b). Il gesto non è un addio, Egli che “non ha lasciato il cielo quando dal cielo è sceso tra noi e non si è allontanato da noi quando è risalito in cielo” (Agostino).

Venuto dal per sempre, vi ritorna per essere a noi, a tutti gli uomini, contemporaneo. Si stacca fisicamente dai suoi per rendersi incontrabile a noi. “Il diventare cristiani significa in verità diventare contemporanei di Cristo. In rapporto all’Assoluto non c’è infatti che un solo tempo: il presente; per colui che non è contemporaneo con l’Assoluto, l’Assoluto non esiste affatto” (Sören Kierkegaard).

La Sua Ascensione è dunque la Sua decisione a farsi presente a noi nella storia, in ogni storia; in ogni spazio. E’ a me incontrabile, da quel giorno.

A rendere possibile la Sua contemporaneità è il Suo Spirito, la Sua promessa a noi; il “dono di Cristo” (Ef 4,7b) offerto a “ciascuno di noi” (Ef 4,7a). Questa “potenza dall’alto” (Lc 24,49b) ci rende “corpo di Cristo” (Ef 4,12b); un nuovo consorzio divino-umano che non conosce limiti di tempo e di spazio, essendo vincolato a colui che ne è il Capo. Vi è una sinergia perfetta, melodica.

La Sua promessa non è contenibile ad un unico momento ma, piuttosto, è Presenza continua a me; il Suo corpo è continuamente sospinto dal Suo Spirito. Questa contemporaneità produce una dinamica, “fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,13b). Ci rende a Lui sempre più simili.

Occorre, perciò, salire “nella stanza al piano superiore” (At 1,13a); entrare nel Cenacolo per attendere e chiedere l’adempimento della sacra promessa. E’ luogo spirituale della missione, della visione, della profezia. Molti cristiani hanno pretesa di essere credibili al mondo senza, però, sostare prima nel Cenacolo. Abbiamo bisogno di un luogo deputato all’incontro con il Contemporaneo.

Questa contemporaneità chiede una presenza nella storia – qui ed ora – nella certezza e nell’attesa che nuovamente “verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1,11b).

E sarà per sempre.

Alessandro