Heinrich Hoffmann | Cristo e il giovane ricco

Chiamati alla libertà

5 luglio 2020  
V DOPO PENTECOSTE (A)  
Luca 9, 57-62

Riflessione a cura di don Erminio Villa

La nostra volontà ha desideri e priorità opposte alla sequela di Cristo, divisa nella scelta tra seguire lui o tenere le nostre sicurezze materiali, affettive e personali. Siamo chiamati a prendere delle decisioni e a superare le ambiguità della nostra volontà. Essa vorrebbe il fine, ma senza volere i mezzi. Ecco perché bisogna acquisire queste virtù:

1. La povertà è la libertà dalle cose

Essere discepoli vuol dire avere lo stesso destino del Maestro. Egli è un ripudiato, un respinto dagli uomini, un senza-patria, un uomo sempre in viaggio che opera instancabilmente la salvezza. Per gli uomini è duro essere senza patria, non potersi rifugiare sotto un tetto protettore, non poter sostare in un accampamento ospitale; persino gli animali più irrequieti, come volpi e uccelli, hanno una dimora; invece il discepolo di Gesù deve avere uno spirito da povero: essere pronto ad andare, a essere respinto, a rinunciare al rifugio di una casa.

2. La castità è la libertà dagli affetti

Un altro chiamato è pronto, ma non immediatamente; vuole solo compiere prima il suo dovere di seppellire suo padre. La richiesta di una dilazione appare quindi più che giustificata. Ma Gesù non ammette nessun rinvio. Esige che chi lo segue lo faccia incondizionatamente. La sua risposta sembra spietata, del tutto estranea al sentimento e al buon senso umano, quasi del tutto immorale. Ma non è così. Quel tale chiede di fare “prima” la sua volontà e poi quella di Dio. Diversamente c’è sempre qualcos’altro prima del Signore; ma così il Signore non è più il Signore. Seppellire il padre è un dovere di pietà filiale. Ma anche un dovere, posto come prioritario, allontana dal regno di Dio. 

È il dramma della fede di Abramo: prima l’amore per il figlio promesso da Dio o l’amore per Dio che l’ha promesso? Prima il dono o il Donatore? La realtà umana, anche la più grande, non va assolutizzata. Porre la creatura prima del Creatore è invertire il rapporto vitale uomo-Dio. La chiamata al regno di Dio esige che nessun affetto sia mai prioritario e assolutizzato rispetto a DioÈ la “castità” dell’uomo, che è la sposa di Dio e deve amare solo lui in modo assoluto. Il resto lo ama in lui e per lui. Egli deve vedere in ogni dono il Donatore e amare, attraverso il dono, Colui che dona. Ciò che occupa il primo posto nel nostro tempo e nei nostri programmi è l’oggetto principale del nostro amore, è il nostro Dio. Per questo tale, il padre morto era più importante del Dio vivo. Annunciare la vita ai morti nello spirito e risuscitarli è più importante che seppellire i morti nel corpo.

3. L’obbedienza è la libertà da se stesso

La terza figura del discepolo assomma le difficoltà dei primi due. È lui che si propone ed è lui che pone la priorità. Questo episodio richiama la vocazione di Eliseo da parte di Elia che concesse al discepolo di congedarsi dai suoi. Ma ora qui c’è ben più che Elia: c’è il Figlio che va ascoltato. La sua presenza esige obbedienza assoluta. La risposta di Gesù parte ancora da un’immagine suggerita dalla vocazione di Eliseo, chiamato mentre stava arando con dodici paia di buoi: egli bruciò il suo aratro e sacrificò i suoi buoi per un’altra semina, quella della parola di Dio. Volgersi indietro è l’atteggiamento del rimpianto, dell’esitazione. Quando arriva Gesù non c’è tempo da perdere. Chi sta con Cristo rompe con il passato. Chi ara e guarda indietro per continuare diritto il solco tracciato non è adatto per il regno di Dio. 

Chi è attaccato a persone, a cose o al proprio io, e cerca altre sicurezze che non siano l’obbedienza alla Parola, è messo male per il regno di Dio. La radice comune di tutte le tentazioni è l’attaccamento al proprio io. Chi supera questa tentazione ha superato anche tutte le altre.