Chiesa dalle genti

ETHOS – Chiesa dalle genti
So d’una villa chiusa e abbandonata
da tempo immemorabile, segreta
e chiusa come il cuore d’un poeta
che viva in solitudine forzata.
(Corrado Govoni)

Così non è la Chiesa. O, almeno, non dovrebbe esserlo. Ascoltiamo, sul finire dell’anno liturgico, parole espansive, di ampio respiro. Cattoliche.

La villa è immagine usata anche dal Divino: “mia casa” (Is 56,5a). Richiamo al Regno, retorica di Chiesa. Tale casa – quale luogo cosmologico – è aperta. Speranza per “lo straniero” (Is 56,3a) e “l’eunuco” (Is 56,3c). Non è temuta alcuna diversità di razza o di fede: “la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli” (Is 56,7b). Il Divino non ha “bastioni da difendere” (Angelo Scola).

Non è ammessa la solitudine forzata dell’esclusione; abbattuto infatti è “il muro di separazione” (Ef 2,14c) che divide l’umano; che ci divide. L’evento-Cristo – “croce” (Ef 2,16b) – chiede una rivisitazione dei confini. Si gusta così tutta la portata sociale – politica – di tale evento. Riguarda tutti.

E’ ciò che parabolicamente Egli racconta attorno alla tavola per richiamarne un’altra di portata universale. “Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti” (Lc 14,16). Ed Egli stesso è “il suo servo” (Lc 14,17a) mandato ad annunciare che “è pronto” (Lc 14,17b). Insegnamento al reale.

Perché i “lontani diventino vicini” (cfr. Ef 2,13), e gli “stranieri e gli ospiti diventino concittadini e familiari” (cfr. Ef 2,19). Le categorie solite sono evangelizzate, convertite. L’ethos dell’evento scalfisce in profondità i rapporti, perché diventino nuovi. Egli è Colui che abbatte “l’inimicizia” (Ef 2,14d) che porta a chiusura e guerra. Il tasso di inimicizia è prova del coinvolgimento, o meno, con Lui.

Nel travaglio del momento presente abbiamo bisogno di Chi sappia “eliminare in se stesso l’inimicizia” (Ef 2,16c); è un bisogno tremendo.

L’evento della croce riappacifica una rottura tra un noi e un voi insopportabile; “di due ha fatto una cosa sola” (Ef 2,14b). Negare il comune è negare il Divino. La croce è il comune che ci lega ad ogni tu, ad ogni volto. E’ un nuovo status sociale. Rabbrividisce pensare che vi è chi brandisce la croce per affermare il suo esatto opposto.

Questa è azione di nuova creazione, di una nuova presenza; Egli crea “in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo” (Ef 2,15b). Nuovo modo di stare nelle cose e di intenderle, restando “fermi nella mia alleanza” (Is 56,4d.6e) cioè nell’evento che origina.

L’invito alla tavola, però, è procrastinato; “tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi” (Lc 14,18a). Ripiegati sul proprio io non sanno, i vicini, guardare oltre. A differenza di Colui che invita. Al servo comanda: “Esci” (Lc 14,21b.23). Incontro all’umano, “per le piazze e per le vie, per le strade e lungo le siepi” (Lc 14,21b.23). Tutto e tutti sono oggetto di questo annuncio di cose pronte.

Cristo – servo – è l’uscita del Divino verso “i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi” (Lc 14,21b). Verso le genti. Addirittura è comandata la costrizione “ad entrare” (Lc 14,23b); è la forza dell’evento. Irresistibile per chi non mette a tacere le domande del cuore.

E’ davvero una Chiesa dalle genti, originata dal basso; popolare. Nella quale riconoscere che ogni singolo ha una parola da dire, una dignità da rispettare, un’idea da condividere. Esaltazione di ogni tu alla luce dell’evento incondizionato; affinché “edificati insieme” (Ef 2,22a) siamo in grado di costruire un nuovo umanesimo.

Alessandro