Della morte

SYMBOLUM – della morte

Non posso pensarti dolente

da che la morte odora di resurrezione.

(Eugenio Montale)

Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo” (Gv 11,53).

Il giorno di una vita ri-data, di un battito ri-preso, di sensi ri-vitalizzati si conclude con sentenza di morte. Aver ri-chiamato Lazzaro in vita Gli costerà tutto.

Pover’uomo: conobbe la morte e la vita il doppio di tutti gli altri. Ri-tornò come segno di penultimità su quanto l’uomo crede come ultimo. Ri-venne come segno di altro.

Betània è esegesi sulla morte e sul morire. Ermeneutica del vivere.

Colui che viene nel mondo” (Gv 11,27b), insegnando il vivere, rivela del morire.

Eppure lo si crede ingiusto: “se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” (Gv 11,21b.32b). Lo rimproverano le sorelle del defunto. Lo rimprovera l’uomo di ogni tempo.

Perché? E, soprattutto, perché a me?

Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?” (Gv 11,37b). Si cerca sempre la via più facile, la scappatoia più breve. Si può evitare l’evento? La ferita ultima?

Novello Mosè che davanti al sepolcro dell’amico deve compiere un passaggio. Anticipo del proprio. Il mare della morte può essere traversato solo entrandovi: “sull’asciutto in mezzo al mare” (Es 14,29b).

Perché gridi verso di me?” (Es 14,15a). Il Divino “ricco di misericordia” (Ef 2,4a) non è sordo al grido. Le sorelle nel “piangere” (Gv 11,33a) celano la lamentela colma di rabbia. Qualcuno con il quale prendersela. Il colpevole serve a deresponsabilizzare; l’altro che diventa nemico.

E “gridò a gran voce” (Gv 11,43a) anch’Egli ma non verso l’Abbà – che già ringrazia – ma alla morte. A Betània si scontrò nuovamente come nel deserto. L’ “Io sono risurrezione vita” (Gv 11,25a) affrontò l’io-morte in maniera penultima.

Il Suo piangere e turbarsi (cfr. Gv 11,33b) guarda all’ingiustizia della morte che tanto potere ha sull’uomo. Piange perché sa che quella non è opera del Padre Suo. Malattia e morte non Gli appartengono. A Betània, casa dell’amicizia, ri-cordò la loro presenza infiltrante tra gli uomini. Esse non devono abitarci – continuando ad avere potere. Occorre depotenziarle.

Molti nostri funerali non conoscono la giusta ermeneutica di quel giorno; privati di un annuncio – l’unico? – davvero desiderabile e significativo. La protesta nasce sempre da mancanza.

Siamo infatti opera sua, creati per le opere buone” (Ef 2,10a). Aperti ad altro.

Vivere per morire significa sopra-vivere. Ai Suoi amici continua a ricordare che “la gloria di Dio” (Gv 11,4b.40b) ci abita; che la creatura è fatta per tutt’altro.

Quaresima è scoprire tutto questo altro.

Alessandro