Cristo ammaestra i discepoli

L’affare della vita

29 agosto 2021
DOMENICA PRIMA DEL MARTIRIO DI GIOVANNI BATTISTA (B)
Matteo 10,28-42

Riflessione a cura di don Erminio Villa.

1. Le esigenze del Regno: il distacco dai propri cari

Chi ama padre o madre, figlio o figlia più di me, non è degno di me. Una pretesa che sembra disumana, perché cozza con la bellezza e la forza degli affetti, che sono la prima felicità di questa vita, la cosa più vicina all’assoluto, quaggiù tra noi. 

Gesù non illude mai, vuole risposte meditate, mature e libere. Non insegna né il disamore, né una nuova gerarchia di emozioni. Non sottrae amori al cuore affamato dell’uomo, aggiunge invece un “di più”; non limitazione ma potenziamento. 

Ci nutre di sconfinamenti. Come se dicesse: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti dei tuoi cari per poter star bene, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello. 

Ci ricorda che per creare la nuova architettura del mondo occorre una passione forte almeno quanto quella della famiglia. È in gioco l’umanità nuova. E così è stato fin dal principio: per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna (Gen 2,24). 

Abbandono, per la fecondità. Padre e madre “amati di meno”, lasciati per un’altra esistenza, è la legge della vita che cresce, si moltiplica e nulla arresta. 

2. Le esigenze del Regno: prendere su di sé la croce

Chi non prende la propria croce e non mi segue. Prima di tutto non identifichiamo, non confondiamo croce con sofferenza. Gesù non vuole che passiamo la vita a soffrire, non desidera crocifissi al suo seguito: uomini, donne, bambini, anziani, tutti inchiodati alle proprie croci. 

Vuole che seguiamo le sue orme, andando come lui di casa in casa, di volto in volto, di accoglienza in accoglienza, toccando piaghe e spezzando pane. Gente che sappia voler bene, senza mezze misure, senza contare, fino in fondo. 

3. L’affare della vita

Chi perde la propria vita, la trova. Gioco verbale tra perdere e trovare, un paradosso vitale che è per sei volte sulla bocca di Gesù. Capiamo: perdere non significa lasciarsi sfuggire la vita o smarrirsi, bensì dare via, attivamente. Come si fa con un dono, con un tesoro speso goccia a goccia. 

Alla fine, la nostra vita è ricca solo di ciò che abbiamo donato a qualcuno. Per quanto piccolo: chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca, non perderà la ricompensa. Quale? Dio non ricompensa con cose. Dio non può dare nulla di meno di se stesso. 

Ricompensa è Lui. Un bicchiere d’acqua, un niente che anche il più povero può offrire. Ma c’è un colpo d’ala, proprio di Gesù: acqua fresca deve essere, buona per la grande calura, l’acqua migliore che hai, quasi un’acqua affettuosa, con dentro l’eco del cuore. 

Dare la vita, dare un bicchiere d’acqua fresca, riassume la straordinaria pedagogia di Cristo. Il Vangelo è nella Croce, ma tutto il Vangelo è anche in un bicchiere d’acqua fresca. Con dentro il cuore. 

Si tratta della pretesa massima di Gesù nei nostri confronti. Egli è un dono per noi, si fa nostro servitore, ci lava i piedi, va sulla croce per noi, ma una cosa ci chiede: bisogna che prendiamo una decisione per lui. Una decisione di amore, perché Lui per noi ha preso la sua decisione d’amore. 

Il cristianesimo è innamoramento per Cristo. Ma sappiamo quanto è debole la nostra fede e fragile il nostro amore… Se fossero più veri e forti, avremmo in dono una gioia più grande, perché dare a Gesù qualche cosa, significa avercela in ritorno per cento volte.

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don Erminio