L’UOMO O LA NORMA?

E’ la questione affrontata dalla liturgia di questa domenica: è più importante il rispetto di una norma (il riposo nel giorno di sabato) o l’uomo? E’ più importante rispettare scrupolosamente la Legge o ricordarsi che dietro a questa ci sono degli uomini? Dunque, in definitiva: la nostra fede, la nostra vita è legalista o antropocentrica?

E’ la domanda che gli accusatori rivolgono a Gesù in sinagoga con l’intenzione di coglierlo in fallo: “E’ lecito guarire in giorno di sabato?” (Mt 12,10c). In sinagoga vi era un uomo “che aveva una mano paralizzata” (Mt 12,10a). Gesù è messo – credono gli accusatori – con le spalle al muro; si trova di fronte ad un vero e proprio bivio “burocratico”: accettare ciò che dice la norma e lasciar perdere quell’uomo oppure disobbedire volutamente?

Anche il racconto di Davide giunto dal sacerdote Achimèlec, a Nob, punta i piedi sulla liceità della norma. Davide e i suoi sono affamati e il sacerdote, che reca loro ospitalità, non ha nient’altro da mangiare che i “pani sacri” (1Sam 21,5), disposti davanti al Signore come sacrificio “ogni sabato” (Lv 24,8), riservati solamente alla classe sacerdotale. Per la medesima Legge, Davide e i suoi non avrebbero potuto mangiare quei pani. Eppure “il sacerdote gli diede il pane sacro” (1Sam 21,7a).

Ed è molto interessante che tale avvenimento venga richiamato da Gesù proprio pochi versetti prima di quelli letti nella liturgia. Gesù, con i suoi, attraversa un campo di grano e i suoi, avendo fame, “cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle” (Mt 12,1). Il tutto, sempre, “in giorno di sabato” (Mt 12,1). I farisei, osservanti della Legge fino a divenirne schiavi e schiavisti, si scandalizzano: “I tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato” (Mt 12,2)! E per risposta Gesù richiama a loro quanto fece Davide: “Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti” (Mt 12,3-4). Gli accusatori sanno bene di che sta parlando, tant’è che non rispondono.

Ma Gesù non si limita a rispondere sulla liceità o meno del gesto e va oltre, dandone un’esegesi: “Il Figlio dell’uomo è signore del sabato” (Mt 12,8). Una verità che fa tremare le false sicurezze dei farisei e che dimostra con la guarigione di quell’uomo in sinagoga. E alla domanda di quelli, Gesù risponde con un’altra domanda: “Chi di voi, se possiede una pecora e questa, in giorno di sabato, cade in un fosso, non l’afferra e la tira fuori?” (Mt 12,11). Con questa domanda Egli ribalta la situazione: sono gli accusatori, ora, ad essere accusati. Se per una pecora, che ha valore economico, si disobbedisce dall’osservare il riposo sabbatico perché la sua perdita comprometterebbe la stabilità dell’intera famiglia tanto più per un uomo che “vale ben più di una pecora! Perciò è lecito in giorno di sabato fare del bene” (Mt 12,12).

E’ dunque svelato il “principio attivo” che anima Gesù e che già due volte ha citato prima di questo episodio: “Misericordia io voglio e non sacrifici” (Mt 9,13; 12,7). I farisei hanno amore per la Legge ma non (ri)conoscono la legge dell’amore!

Gesù non vuole insegnare la disobbedienza per la Legge, infatti non è venuto ad abolirla (cfr. Mt 5,17) ma a (di)spiegarla; a compierla. Gesù cambia i fattori, che in questo caso, alterano il risultato. La Legge era ormai diventata cosa burocratica, normativa che schiavizzava l’uomo. L’uomo era dominato dalla Legge e il vivere era una mera questione di precetti. Gesù decentra la Legge e riposiziona colui che originariamente era al centro: l’uomo. Il messaggio evangelico è totalmente e potentemente umanizzante: al centro dei pensieri di Dio c’è la creatura.

A prova di ciò “egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi” (Eb 4,15b). La prova che a Dio interessa l’uomo è che Egli stesso è divenuto uomo per insegnarci a vivere in maniera veramente umana. Gesù mostra il nuovo umanesimo, debellando i virus del dis-umano e – occorre sottolinearlo, contro la mentalità dominante – del trans-umano.

Per questo la Lettera agli Ebrei invita ad accostarsi “con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia” (Eb 4,16). Bisogna ripartire dalla misericordia; è la grande intuizione di Papa Francesco che le ha voluto dedicare un Giubileo Straordinario. L’Anno si è chiuso, ma attenzione a non chiudere le porte: “la porta della misericordia del nostro cuore rimane sempre spalancata” (Misericordia et misera, 16).

I nostri ministeri, il nostro agire, le nostre parole, il nostro essere Chiesa deve essere imbevuto sempre di misericordia! La mancanza di misericordia porta al normalismo, al legalismo, al fariseismo! La mancanza di misericordia ci fa chiudere le porte delle nostre chiese, dei luoghi dei nostri incontri, della nostra pastorale e arriva a chiudere le porte del nostro cuore.

Come essere misericordiosi? E’ sempre Gesù a svelare il “mistero pentecostale”: “Ecco il mio servo, che io ho scelto; il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento. Porrò il mio spirito sopra di lui e annuncerà alle nazioni la giustizia” (Mt 12,18). Gesù incarna questa profezia messianica di Isaia. In lui copiosa e piena è l’effusione dello Spirito tale da renderlo Missionario di Misericordia. Egli è Misericordioso poiché in Lui abita lo Spirito; il medesimo che abita in noi.

Imparando ad aprirci alle “sorprese dello Spirito” (card. Léon-Joseph Suenens) sapremo aprirci anche alle sorprese della Misericordia comprendendo che, al di là di ogni norma che incatena, è sempre “lecito fare del bene” (Mt 12,12b)!

La Misericordia non aspetta, mai.

Alessandro