Nobis

PIENAMENTE NOI – nobis

Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
(Giuseppe Ungaretti)

Fratelli è la parola nuova, frutto di Pasqua. “Fratelli” (At 1,16a) è la parola usata da Pietro; per la prima volta. Così chiama quelli che sono stati suoi; così li riconosce a sé.

Per la prima volta, forse imbarazzato, Pietro riconosce un nuovo modo di “come comportarsi” (1Tm 3,15a), una nuova maniera dell’esistere, dello stare insieme. Esistenza segnata, toccata, provocata dalla Pasqua di Gesù. Esistenza legata al Suo patire e risorgere; al Suo ascendere e mandare.

La parola non assume ancora la pienezza che riceverà a Pentecoste; è solo timido avvio di un (ri)conoscere ciò che è stato in quei tre anni con Lui. E’ cuore di quel “grande mistero” (1Tm 3,16a) svelato in Cristo. Che è Lui medesimo.

Fratelli è la parola prima dalla quale ha natale la forma cristiana dello stare insieme: “la Chiesa del Dio vivente” (1Tm 3,15b). Chiesa che nasce da un’attesa, promessa e da un riconoscere l’altro come fratello a me.

La presa di coscienza avviene nel momento in cui si deve ricostituire il “nostro numero” (At 1,17a) dopo la dipartita di Giuda. Fratelli è la nomenclatura ad un “noi” costituito; Pietro serve a far prendere consapevolezza a tutti gli altri – “circa centoventi” (At 1,15b) – di non essere più individui radunati ma di essere un corpo. Essi formano la “casa di Dio” (1Tm 3,15b); Chiesa.

Chiesa non è parola sociologica ma il frutto di una memoria Christi; è modalità nuova di vivere insieme con l’altro-da-me. E’ casa nella misura in cui non coabito a forza o per convenzione. E’ luogo in cui scopro che il diverso-da-me non è mai limite. Chi rifugge dalla fraternità sta, in verità, rinnegando sé.

La preghiera ultima di Gesù – preghiera contemporanea – verte su una nuova fraternità, sintesi del Suo ministero. “Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo” (Gv 17,11a). Devono essere risuonate, nel Cenacolo, queste parole ultime che dopo la Sua ascensione acquistano tutta la loro forza.

Siamo nel mondo; ci stiamo dentro, fino al collo, pur non appartenendogli. E Lui prega il Padre; Lo prega a custodia nostra. Lo prega, eternamente, continuamente, “perché siano una sola cosa, come noi” (Gv 17,11b). E’ preghiera di fraternità; nuovo modo di leggersi e viversi.

Il Suo desiderio, primo e ultimo, che Lo tormenta è che i suoi siano uno. Fraternità avviene nel momento in cui io mi riconosco nell’altro, diverso da me. Fratelli lo posso dire solo quando al centro della mia umana esistenza pongo Lui. Fino a quando ci sarà un loro non ci potrà essere vera forma di fraternità. A segnarla, nella constatazione, è il noi. Noi, nella logica divina, ha sempre il valore di uno.

Fraternità è la forma più adeguata, più intelligente, più provocante per poter essere pienamente noi.

Da quel giorno c’è un seggio vacante nella schiera dei suoi; che capiti a noi di essere “associati agli undici apostoli” (At 1,26b). Solamente il noi salverà il mondo.

La domanda sorge spontanea: dove sono, questi fratelli?

Alessandro