NOI, CITTADINI DEL MONDO COME I PESCI NEL MARE

Ero appena sceso dal treno.  Una folata di vento tra i capelli, la luce del mattino sereno, tutto intorno a me annunciava  allegria, ma io ero in ritardo.  A passi rapidi e ansiosi arrivai a scuola, appena in tempo per entrare prima che il cancello fosse chiuso.  Italiano alla prima ora del martedì. Spero di non essere interrogato.  Ieri pomeriggio e sera non ho riletto l’episodio di compito: la vendetta di Odisseo contro i Proci. L’altra mattina  accesa discussione sul sentimento della vendetta col prof. di religione: che lotta! Tanti a favore, pochi contro. All’ultimo banco in fondo a destra, zitta zitta, una compagna  marocchina con lo sguardo un po’ perso fissava un punto indefinibile, forse ricordava qualcosa.  Di lei sappiamo poco: che fa il corso di italiano per stranieri, che ha un fratellino piccolo, mai visti i genitori all’uscita. Distratto come sono, mi ero dimenticato del tema in classe; chiedo un foglio protocollo al mio compagno di banco e ascolto le indicazioni del prof.  Analisi del testo e commento  del sonetto di Dante: “Guido i’ vorrei che tu e Lapo ed io”…Ah, sì. Il tema dell’amicizia… Mi concentro sull’argomento e immagino la metafora del piccolo vascello in mezzo al mare con i tre amici e le loro fidanzate: l’incantesimo del sommo poeta. La fantasia corre, ad essa si sovrappone un insieme di ricordi delle vacanze natalizie dai nonni in Sicilia: ancora mare, ancora barche, tempo brutto, onde minacciose, grida disperate, gente in acqua, folla sulla spiaggia, barconi stracolmi di esseri umani; tutto il paese mobilitato per salvare chi è ancora vivo.  Io c’ero, io ho visto.  Non sono state vacanze spensierate, non le scorderò mai! Ho aiutato con gli altri nei soccorsi, poi a distribuire i vestiti asciutti e i turni dei volontari per dare da bere e da mangiare. Noi ragazzi abbiamo anche fatto giocare i bambini. Sembrava di essere all’oratorio estivo, solo che era inverno e quei bambini non ci capivano.

Dopo Capodanno siamo tornati a casa, lasciando i nonni e gli amici a continuare l’accoglienza dei profughi. Ho raccontato in classe questa esperienza e ho dovuto difendermi da tante accuse, del tipo:”Vengono in Italia per rubare il lavoro ai nostri – sono sporchi – puzzano – sono ignoranti. Perché non se ne stanno a casa loro?” L’insegnante ribatteva che è sbagliato giudicare ancora prima di conoscere e che tendiamo a guardare noi stessi, senza vedere come stanno gli altri. Una mano alzata in fondo chiede la parola. Con la sua solita voce bassa un po’ scontrosa la compagna araba dice che la sua famiglia è venuta in Italia per farla studiare. Mormorio di sottofondo: lei non brilla durante le interrogazioni. “ Sì, è vero, non sono brava a scuola, ma voi non siete generosi quando dimostrate fastidio o disprezzo verso chi è più sfortunato; nessuno sceglie in quale paese nascere!..”. Silenzio imbarazzato.  Intanto pensavo ai nonni in Sicilia che hanno scelto di mettersi a disposizione, insieme ad altri. La nonna aiuta in cucina e in lavanderia, il nonno sulla spiaggia per i vivi e per i morti. Pur non essendo molto istruiti, sono convinti che avendo ricevuto tanto dalla vita (tranquillità economica, famiglia, salute, libertà ecc.) sia giusto aiutare  e condividere.”Dobbiamo spezzare il pane, c’è più gioia nel dare che nel ricevere” raccontano al telefono quando ci sentiamo.   E io qui a Milano devo sopportare questi discorsi…Invece mi ero divertito a far giocare i bambini e insegnargli qualche parola d’italiano! Alcuni non parlavano proprio, tanto erano spaventati: quelli rimasti senza famiglia. “Cosa fai lì imbambolato? Concentrati e scrivi, che il tempo passa!”  Il prof. si è accorto che avevo la mente lontana.  C’è silenzio in classe stamattina per fare bene l’ultimo compito di Italiano. E’ una bella giornata di inizio estate che invita a uscire in compagnia.  Riguardo le parole di Dante da commentare:”…e quivi ragionar sempre d’amore.” Amicizia, amore, allegria… mi vengono in mente queste parole. Parole banali, scontate, strausate. Una barca in mezzo al mare e parole d’amore. Quasi quasi mi invento una canzone:

Mare, oh  mare, non ti agitare!

Portali in salvo, non farli annegare!

Spingi le onde verso la riva,

dona la forza a chi non arriva…

Arrivare dove? Sono andato di nuovo fuori tema!  Continuo ad avere quelle immagini davanti agli occhi. Eppure deve esistere una soluzione…Tutta questa gente che abbandona la sua terra d’origine avrà un sogno, una speranza, un desiderio di felicità, come tutti noi giovani che vorremmo essere ancora spensierati; invece la realtà ci fa aprire gli occhi troppo presto, ci deruba dell’infanzia, ci nega l’innocenza.  Da grande  vorrei fare qualcosa per cambiare, che ne so!  costruire una enorme abitazione per coloro che non hanno casa, dare lavoro a chi ne ha bisogno, combattere contro il pregiudizio e l’ignoranza, abbattere i muri dell’egoismo, distribuire le ricchezze. “Studia, invece di fantasticare!” Mi ripete mia madre. Secondo lei dovrei studiare nei mesi di scuola e fare volontariato nei mesi di vacanza. Questa sì che sarebbe una valida alternanza scuola-lavoro!  Lei dice sempre con mio padre che le risorse ci sono ma manca la volontà politica di affrontare le sfide del presente.  Discutono a tavola spesso e commentano calorosamente i fatti raccontati dalla tele, ricordano le esperienze dei loro genitori, cioè i miei nonni, gli anni della contestazione, l’illusione    di cambiare il mondo. Qualcosa è cambiato: noi non emigriamo più in cerca di fortuna, altri popoli migrano cercando fortuna da noi.  Si scambiano le parti, come gli antichi imperi che sono crollati e altri si sono formati; la terra si muove e così i suoi abitanti. Il tempo è scaduto, devo consegnare. Che tema strano… neanche il tempo di rileggerlo e copiare in bella! Spero tanto che il prof. abbia misericordia. D’altronde si parla di mare, amore, poesia. Proprio il sommo poeta dice nel De vulgari eloquentia “ Noi che abbiamo per patria il mondo come i pesci il mare.

Racconto elaborato dalla classe 1G   liceo delle Scienze Applicate E.Majorana – Rho