Giotto - la Resurrezione / Noli me tangere

Pasqua di Risurrezione

12 aprile 2020
PASQUA DI RISURREZIONE
Giovanni 20, 11-18

Riflessione a cura di don Erminio Villa

1. La storia personale di Maria

È ancora buio quando Maria di Magdala si reca al sepolcro di Gesù. Tutti gli evangelisti ricordano questa donna tra i primi testimoni della tomba vuota. Ma il vangelo di Giovanni le conferisce un ruolo unico, presentandola come solitaria testimone del sepolcro vuoto nell’incerto chiarore dell’alba. Sappiamo che Gesù ha un posto singolare nella sua vita: lei fa parte del gruppo delle donne “che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità”, le quali seguivano Gesù e i discepoli e “li assistevano con i loro beni”(Lc 8,2). 

Ma soprattutto ritroviamo Maria di Magdala tra i pochissimi che seguono Gesù fino alla morte e stanno presso la croce, con Giovanni, l’unico discepolo testimone oculare della morte (Gv 19,25). Bastano pochi cenni per ricostruire la personalità di questa donna appassionata e coraggiosa, vicina a Gesù fino alla fine e poi la prima a correre al suo sepolcro. 

Piange a dirotto presso la tomba, pensando che hanno portato via il corpo del suo Signore. Ne riconosce subito la voce quando quel personaggio sconosciuto la chiama per nome. Infine si butta ai suoi piedi per abbracciarlo, quasi a volerlo possedere ora che l’ha ritrovato. Gesù dovrà dolcemente sottrarsi al suo abbraccio appassionato: “Non mi trattenere” (Gv 20,17). È singolarmente intenso il primo contatto tra il Risorto, il suo corpo ormai sottratto alla morte, e la nostra umanità, pur segnata dalla morte, ma chiamata alla risurrezione.

2. L’importanza dei testimoni oculari

Questo primo incontro del Risorto con una discepola racchiude due caratteristiche a prima vista incompatibili. Il Risorto non è un fantasma, un’allucinazione, una visione interiore suscitata da un grande amore ormai spezzato dalla morte. Il Risorto è corporalmente vivo e l’abbraccio appassionato di Maria ne è una stupenda attestazione, così come il suo chiedere ai discepoli qualche cosa da mangiare o le ferite delle mani e del fianco offerte al dito investigatore di Tommaso. 

L’apostolo Giovanni insisterà sulla sua esperienza di testimone oculare. Scriverà all’inizio della sua prima lettera: “Ciò che abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della Vita, poiché la Vita si è fatta visibile e noi l’abbiamo veduta… si è resa visibile a noi, quello che abbiamo veduto e udito noi lo annunziamo a voi” (1Gv 1,1-4). 

Ripetutamente Giovanni fa appello ai sensi che hanno visto, udito, stretto tra le mani. L’annuncio pasquale: ‘È risorto’ non né una favola bella ma illusoria, né una struggente espressione di nostalgia: è certezza degli occhi, delle orecchie, delle mani che l’uomo della croce è corporalmente vivo.

3. È fondamentale lo sguardo della fede

Eppure – ecco il secondo dato – non bastano gli occhi per riconoscere il Risorto. Maria di Magdala scambia Gesù per il guardiano del giardino, i due discepoli di Emmaus camminano a lungo con Lui, ne ascoltano la voce, certamente lo hanno guardato negli occhi invitandolo a restare con loro al calar della sera. Ma non lo riconoscono. Occorre quello sguardo che è la fede per riconoscere il risorto, che è sì l’uomo della croce, l’uomo che hanno conosciuto, amato, seguito; eppure il ricordo del suo volto certamente impresso nella loro memoria, non basta per riconoscerlo. 

La Risurrezione è infatti “primizia di nuovi cieli e nuova terra” (2Pt 3,13) dove verranno meno le lacrime e le contraddizioni, la morte non sarà più e l’uomo, dopo le mille forme di schiavitù e alienazione che l’hanno piegato, camminerà diritto. “Nel settimo giorno, giorno della Risurrezione, saremo pienamente noi stessi” (S. Agostino).