Resa e resistenza

Salve altare e vittima!” preghiamo con l’Inno all’inizio della Celebrazione di oggi. Cristo è al contempo vittima immolata e altare sul quale si compie il sacrificio definitivo. Ad essere protagonista, oggi, è la Croce. E questo crea scandalo, incomprensione. Ai suoi. E a noi.

Li aveva avvisati, i suoi: “questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo” (Mt 26,31a). I suoi sono scandalizzati dal peso che il Maestro deve pagare. La Croce, “l’uomo dei dolori” (Is 53,3b), non la fugge: “io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro” (Is 50,5). La Croce non è resa, piuttosto resistenza: “è una forza vitale, la forza di sperare quando altri si rassegnano, la forza di tener alta la testa quando sembra che tutto fallisca, la forza di sopportare gli insuccessi, una forza che non lascia mai il futuro agli avversari, ma lo rivendica per sé” (Dietrich Bonhoeffer). E questa forza, Gesù, la mostra nel Padre.

Questo “scandalo interno” della Croce è ben conosciuto da Paolo: “la parola della croce infatti è stoltezza (stupidità) per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio” (1Cor 1,18). Occorre ribadirlo con maggiore forza: la Croce non è evento occasionale o errore di cammino in Gesù. Mi rattrista molto leggere, in questi giorni, anche da parte di alcuni sacerdoti (o presunti tali) affermazioni del tipo “Gesù non è morto per i nostri peccati e tantomeno perché questa fosse la volontà di Dio, ma per l’avidità dell’istituzione religiosa, capace di eliminare chiunque intralci i suoi interessi” (Alberto Maggi).

Chi rifiuta la Croce, chi deride la Croce, chi la tramuta in un semplice simbolo religioso, chi la strumentalizza sul piano politico, questi la abbassa a “stoltezza”. Stolto è Giuda che decide di impiccarsi (cfr. Mt 27,5). Stolti sono i capi dei sacerdoti e gli anziani, la casta sacerdotale che crede di avere il potere. Stolto è Pilato che pensa di scrollarsi di dosso le conseguenze della sua scelta. Stolta è la folla che grida all’unisono la condanna. Stolti i soldati che lo deridono e percuotono. Sono stolti perché rimangono impassibili, immobili, saldi nei loro schemi, nelle loro convinzioni, nei loro modi di percepire la realtà.

La Croce, che oggi (ma sempre!) adoriamo è “speranza unica” della nostra salvezza certa. Come afferma uno dei più famosi inni cristiani, Amazing Grace, “Meravigliosa Grazia! Quanto è dolce il suono, che ha salvato un miserabile come me!”. Questa è l’opera della Croce, una grazia meravigliosa, perché gratuita. Noi tutti siamo i miserabili dei quali Egli “si è caricato le sofferenze, si è addossato i dolori” (Is 53,4a).

Scendi dalla croce!” (Mt 27,40b) è l’ultima tentazione che deve debellare, la più difficile, la più subdola. E’ questa la resistenza estrema. Sarebbe potuto scendere, Lui il Figlio di Dio, e dimostrarlo. Ma non saremmo stati salvati. Non avrebbe compiuto l’opera del Padre. A Lui non interessa dimostrare nulla; ciò che gli sta a cuore è invece mostrarlo. Lui, il Figlio di Dio, non vuole dimostrare la sua potenza, che tutti si aspettavano, anche i suoi; lui preferisce mostrare fino a dove può giungere il suo amore per l’uomo. Lui mostra che a me ci tiene, tanto da morire al posto mio; fu “trafitto per le mie colpe, schiacciato per le mie iniquità” (Is 53,5a) potremmo spingerci a dire. E’ l’unico che può dirmi: “ti amo da morire”! Lo dice e lo compie; lo mostra. La Croce è la prova di amore spinto fino al limite, è la prova più alta. L’amore è la resistenza ultima.

Adorare la Croce non significa esaltare un pezzo di legno a idolo – è quasi ironico accorgersi che proprio chi La combatte è il primo a prostrarsi dinanzi ai suoi idoli! No, adorare la Croce significa piegarsi di fronte al sacrificio estremo di Chi ci ha creato. Significa sottomettersi a questo amore incondizionato fino alla morte. AdorarLa è accettate in toto la salvezza che ci proviene. La Croce è il primo ostensorio di Gesù, “albero degno e fulgido, il solo eletto a reggere le membra sue santissime”.

Chi non sa inginocchiarsi di fronte alla Croce ancora non ha accolto in sé l’amore di Dio. Chi non sa prostrarsi dinanzi a questa ostensione d’amore ancora svende Gesù come Giuda, ancora se ne lava le mani come Pilato. Chi non sa compiere l’atto umile di mettersi in ginocchio ancora non riconosce la più grande umiltà di Dio abbassato fino a morire! Chi non si butta sotto la Croce ancora pensa di essere più grande di Dio stesso.

E’ questa la parola della Croce che ancora ci infastidisce. La Croce è il paradosso di Dio: non è più conveniente che tutti periscano a scapito di uno solo. Ora si dimostra conveniente che è meglio che perisca Egli stesso affinché tutti abbiano la vita! Chi vuole eliminare la Croce dal messaggio di Cristo vuole eliminare Cristo stesso. Chi vuole eliminare la Croce vuole eliminare la salvezza. Chi vuole eliminare la Croce vuole eliminare la Risurrezione! Chi vuole eliminare la Croce vuole sbarazzarsi della Vita.

Il cristiano è invece figlio della Croce; riconosce che non è parola definitiva sulla sua esistenza ma fondamento della sua stessa fede: “davvero costui era Figlio di Dio!” esclama il centurione, pagano, di fronte allo “spettacolo” (Lc 23,48) della Croce. Il peso della Croce è per il cristiano stile di vita: sotto la Croce riconosce che il suo destino ultimo non può essere diverso da quello del Figlio. Ma il suo atteggiamento non è mortifero, non è resa, piuttosto resistenza. Il cristiano sa morire a sé stesso per resistere, per rimanere saldo in quella professione di fede. Il cristiano saprà resistere solamente se afferra la Croce, se adorerà la Croce. Solamente se accetta la Croce.

Siamo, noi tutti, figli di quella Croce, figli delle “tre del pomeriggio” (Mt 27,45b) di quel giorno. La terra e il Cielo, il finito e l’infinito, il già e il non-ancora, il presente e il futuro, sono da quel giorno uniti dalla Croce sospesa, a mo’ di “mistica bilancia”. Non vi è più alcun ostacolo, più alcuna velatura, a separare il sacro e il profano, il religioso dal laico. Da questa Croce, per paradosso e per resistenza, abbiamo vita e vita eterna.

Quello dunque che è stato fatto in lui è vita. Carne è stata fatta in lui: è vita. Morte è stata fatta in lui: è vita. Remissione dei peccati è stata fatta in lui: è vita. Ferita è stata fatta in lui: è vita. Scherno è stato fatto in lui: è vita. Spartizione è stata fatta in lui: è vita. Sepoltura è stata fatta in lui: è vita. Risurrezione è stata fatta in lui: è vita. Guarda quante cose sono state fatte in lui! Da esse è stato prodotto il capovolgimento della nostra esistenza, che era rovinata e che ci è stata restituita” (Ambrogio).

Alessandro