RIFLESSIONI SUL CONVEGNO DI FIRENZE di padre Francesco

Racconto alcune mie impressioni e pensieri sul convegno di Firenze, che ho vissuto nel novembre 2015. Le mie riflessioni non le ho fatte cercando una completezza esaustiva, ma facendo emergere ciò che serve e sostiene la mia ricerca e il mio ministero.

In Gesù Cristo il nuovo umanesimo è il tema del convegno di Firenze dove il papa ha invitato a contemplare il Gesù-Ecce Homo che è la vera immagine di Dio-misericordia e dell’uomo trasfigurato. In Gesù si sperimenta di essere un uomo nuovo, trasfigurato.
Le 5 vie, individuate dal magistero di papa Francesco, sono il modo in cui la Chiesa trasfigurata esce e annuncia all’uomo Gesù, vero volto di Dio e dell’uomo. La comunità cristiana abita vicino agli uomini educandoli per essere trasfigurati anch’essi da Gesù.
Il Convegno di Firenze è la continuazione di quello di Verona (2005) con i suoi 5 ambiti: affetti, il lavoro e la festa, fragilità, cittadinanza, tradizione (capacità di trasmissione: intellettuale, morale, educazione, culturale e sociale).

Le 5 vie evidenziano il modo in cui la Chiesa agisce in questi ambienti.
Dall’intervento sintetico della via ANNUNCIARE si vuole evidenziare l’armonia tra le diverse vie:

« E’ stato affermato in più occasioni che le cinque vie sono tra loro distinte, ma non separate né esaustive. Come gli ambiti evidenziati dal Convegno di Verona non esauriscono situazioni e bisogni esistenziali, così l’azione ecclesiale è alquanto ricca, perfino complessa, fatta di tanti elementi come la vita di una persona o di una famiglia. E come capita a una persona o una famiglia, i differenti elementi – se ricomposti in armonia – costituiscono altrettanti punti di forza.
In concreto, ci chiediamo se anziché pensare la via dell’annunciare come percorso tendenzialmente autonomo, non occorra immaginarla come arricchita dalle altre.
Pensiamo al possibile binomio: annunciare-uscire. Non ha senso parlare di kerygma e non includervi una dinamica missionaria.
O al binomio annunciare-abitare, che evoca la quotidianità dell’esistenza.
Annunciare-educare nelle nostre comunità dice della dimensione generativa della Chiesa madre. Come afferma un gruppo: “L’annunciare non termina dopo che hai proclamato il Vangelo. Annunciare è anche accompagnare e aiutare a dare frutto”.
E infine annunciare e trasfigurare, annunciare perché trasfigurati, capaci di consegnare ciò che ci ha stupiti e salvati, di fare memoria di un incontro che ci ha trasformati dal di dentro».

Le cinque VIE sono già in atto nella Chiesa. Nella concretezza sono armoniche tra di loro o sono a compartimenti stagni? Se ci fosse da compiere una riforma, da quale iniziare?

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METODO USATO
Due cardini fondamentali del metodo: sinodalità e racconto.

Sinodalità
Non si è discusso sulla sinodalità, ma la si è vissuta concretamente in particolare nei lavori ai tavoli, il cuore di questo convegno, attraverso il racconto.

Racconto
Linguaggio e modalità molteplici,semplici, chiari e moderni: relazioni, meditazioni, talk-interviste e ampio spazio dato al dialogo nei tavoli; ma anche videoclip, social, …
Relazioni iniziali: in particolare papa Francesco.
Un breve talk con 5 ospiti (uno per ambito: tra cui D’Avenia e Jean Paul Henandez) ognuno ha raccontato le proprie esperienze personali inerenti all’ambito che si rappresentava.
Il cuore dell’esperienza di Firenze, la parte più coinvolgente ed emozionante, è stato il lavoro di gruppo in tavoli da 10, dando molto spazio al raccontarsi e ad ascoltare racconti.
Tutto il resto era a sostegno del racconto e dell’ascolto perché fosse di qualità e centrato nel tema, per non parlare di tutto e di più spendendo inutilmente energie e perdendo un ulteriore possibilità di arricchimento.

SENSAZIONI
1- In me ho provato un generale entusiasmo per una Chiesa sinodale, capace di ascoltarsi e confrontarsi e desiderosa di ricercare una svolta adeguata all’oggi.

2- Senso di Chiesa: accoglienza e ascolto, dialogo, mettere in comune le esperienze, stimare ciò che gli altri fanno.
Si sono viste molto diversità di prospettiva all’interno della Chiesa, non vedendo in queste una contrapposizione, ma un dialogo e una ricerca di comunione e di efficace annuncio del Vangelo.

3- Il Convegno più che fornirmi delle soluzioni e risposte, ha provocato in me maggiori domande, provocazioni e ricerca. Non mi ha fatto sentire sazio, ma soddisfatto mettendomi in ulteriore movimento esplorativo, con il desiderio di ricercare, pensare, sperimentare, tentare strade nuove, sbagliare, rischiare, osare, …
Il Convegno di Firenze non è stato risolutivo, ma ha attivato un processo e un metodo.

CRITICITÀ
1- È stato approfondito bene la figura di Gesù come sorgente del nuovo umanesimo, dell’uomo nuovo. Secondo me, non abbiamo approfondito sufficientemente questa domanda: chi è l’uomo d’oggi? A che uomo stiamo annunciando il Vangelo?
Magatti ha dato delle buone piste di riflessione, ma si sono fermate al suo intervento; non hanno avuto delle risonanze significative. La prospettiva antropologica deve avere più spazio.

2-L’essere così in tanti ha comportato la perdita di molto materiale su cui si è dialogato, riportando le cose maggiormente uscite, più che perle preziose e profetiche.
Il rischio che passi il messaggio maggioritario e non quello profetico.

3- Almeno nel mio tavolo (USCIRE) la maggioranza del tavolo limitava l’uscire alla carità ed accoglienza e faticava a comprendere che ci fossero altri ambiti di uscita come i giovani e la cultura. Ambiti non per forza di emergenza sociale, ma esistenziale-antropologico (umano), culturale e spirituale.

Questa situazione deriva da una povertà formativa?
«Molti nostri operatori sono animati da un grande cuore, ma il grande cuore non basta» e col rischio di lasciarsi guidare nelle scelte e nelle attività da idee e sensibilità personali e quindi con orizzonti ristretti e mediocri. Alla carità non basta il cuore, ma per essere vera ha bisogno di essere intelligente.
Per superare questa povertà che porta all’immobilismo occorre formazione e comunione per generare nella Chiesa una creatività pastorale fatta di mentalità, linguaggi e metodi nuovi per uscire ed annunciare, evitando l’attivismo che corre dietro alle urgenze, senza perseguire una vision.

4- Ho la sensazione che la Chiesa ha capito di fare il salto IN USCITA, ma non ha ancora il coraggio di farlo.
Forse non ha il coraggio di fare il salto perché manca di umiltà, disinteresse e beatitudine?
Papa Francesco incoraggia la Chiesa italiana a fare questo salto:
«Sia una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa […] Evitiamo di chiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione».
Forme di ricchezza pastorali che rischiano di rendere poco dinamici e di rallentare l’annuncio. Siamo lontani dal recepire appieno l’invio all’umiltà, al disinteresse e alla gioia formulato dal Papa. «Solo quando la Chiesa si orienta alla missio ad gentes ritrova se stessa».
Il papa rivolgendosi ai giovani afferma: «Per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico. Le mani della vostra fede si alzino verso il cielo, ma lo facciano mentre edificano una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento. E così sarete liberi di accettare le sfide dell’oggi, di vivere i cambiamenti e le trasformazioni».

5- Papa Francesco ha indicato due tentazioni per la Chiesa italiana: il pelagianesimo e lo gnosticismo.

« La prima di esse è quella pelagiana. Essa spinge la Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene. Il pelagianesimo ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso. In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del soffio dello Spirito. Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative. La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: si chiama Gesù Cristo. La riforma della Chiesa poi – e la Chiesa è semper reformanda – è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività. La Chiesa italiana si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante. Assuma sempre lo spirito dei suoi grandi esploratori, che sulle navi sono stati appassionati della navigazione in mare aperto e non spaventati dalle frontiere e delle tempeste. Sia una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa. E, incontrando la gente lungo le sue strade, assuma il proposito di san Paolo: «Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (1 Cor 9,22)».

«Una seconda tentazione da sconfiggere è quella dello gnosticismo. Essa porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello. Il fascino dello gnosticismo è quello di «una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti» (Evangelii gaudium, 94). La differenza fra la trascendenza cristiana e qualunque forma di spiritualismo gnostico sta nel mistero dell’incarnazione. Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi che non danno frutto, che rendono sterile il suo dinamismo».

Papa Francesco si è soffermato su queste due tentazioni per prevenire o per indicare che sono già radicate nella Chiesa? Gnosticismo e pelagianesimo sono due tentazioni che si manifestano in contrapposizione o in simultanea? La Chiesa non riesce a fare il salto di qualità perché caduta nelle tentazioni dello gnosticismo e del pelagianesimo?

PISTE RIMASTE APERTE
1- L’incidenza di Evangelii Gaudium nella pastorale ordinaria
Il papa invita ad un approfondimento di Evangelii Gaudium come documento programmatico per la Chiesa italiana. Quanto sta incidendo nella pastorale ordinaria della nostra Chiesa? Sono solo giudicate belle parole o sta diventando il cammino reale della Chiesa?

Le altre piste aperte le rileggo nei 4 pilastri segnalati dal card. Scola in questi ultimi anni.

2- “Erano perseveranti nell’insegnamento degli Apostoli …” per “educarsi al pensiero di Cristo” (1Cor 2,16)

2.1- Parola di Dio: kerygma

A- Il primato della parola di Dio annunciata, ascoltata e pregata.
Rilanciare la lectio divina, facendola diventare un’esperienza ordinaria della formazione cristiana. Occorre rimettere al centro della vita della Chiesa l’ascolto del Vangelo, elemento di unione e di aggregazione.
Ciò richiederà alle comunità cristiane di essere spazi di incontro con la Parola, fatti di silenzio, di preghiera, di contemplazione, di studio, di ricerca innovativa.
Preziosa sarà la lettura popolare della Bibbia (gruppi d’ascolto, …)

B- La Chiesa in uscita e l’annunciare nascono da un ascolto della Parola di Dio.
1) La Parola di Dio rivela/fa conoscere Gesù.
«Puntate all’essenziale, al kerygma. Non c’è nulla di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio» (Discorso di papa Francesco).
Il kerygma mette in risalto il nucleo dell’annunciare: la persona di Gesù.
È essenziale il primo annuncio, che va «inteso non solo come momento iniziale del cammino di fede di chi non è cristiano» ma come proposta di fondo che ritorna negli snodi fondamentali dell’esistenza. Così è preziosa l’evangelizzazione per le strade e in casa (pastorale 0-6 anni, cellule di evangelizzazione, gruppi di ascolto della Parola; gruppi di ascolto per giovani….), come altrettanto importante è impegnarsi a rinnovare i percorsi di iniziazione cristiana e di catechesi, oltre il catechismo.
Si può testimoniare solo dopo aver fatto esperienza concreta di Gesù.
Così l’annuncio (kerygma) rigenera chi annuncia. L’incontro con Gesù, nelle Scritture, rigenera l’annuncio, evitando all’uomo il rischio dell’egocentrismo e di annunciare se stesso.

2) Esige un uscire da noi stessi: «Occorre fare un falò dei nostri divani. Raccapricciarci della cristallizzazione delle nostre abitudini, che trasformano le comunità in salotti esclusivi ed eleganti, accarezzando le nostre pigrizie e solleticando i nostri giudizi sferzanti».

3) L’ascolto della Parola genera una sana inquietudine e un profondo dinamismo. Questo dinamismo rende costantemente riformulabili le istituzioni, la liturgia e le tradizioni, e provoca una costante riforma dei linguaggi e degli stili di Chiesa.
Quali sono gli stili-chiave suggeriti per un annuncio fecondo?
«Lo stile del narrare, lo stile della condivisione, lo stile del servizio, lo stile del dialogo, lo stile della gioia, lo stile del dubbio, lo stile della speranza, lo stile del mettersi in gioco, lo stile dell’ascolto, lo stile empatico».

2.2- Educare / Formare
1) Avviare processi che abilitino i battezzati ad essere evangelizzatori attenti, capaci di coltivare le domande che provengono dall’esperienza di fede e di andare incontro a tutte le persone animate da una autentica ricerca di senso e di giustizia.

2) L’annuncio del Vangelo non deve essere offerto come una summa dottrinale o come un manuale di morale, ma anzitutto come una testimonianza sulla persona di Cristo, attraverso un volto amichevole di Chiesa tra le case, nella città.
La formazione, quindi, non può ridursi a conferenze, meditazioni, discussioni o simulazioni. Dovrà essere sempre più capace non limitarsi di dare concetti, ma di attivare processi ed esperienze. Ad essere una Chiesa in uscita si impara uscendo; ad annunciare si impara annunciando, ad evangelizzare si impara evangelizzando, a fare la mamma si impara facendo la mamma (non c’è una scuola teorica, la scuola è la vita stessa). Alcuni esempi che si ispirano a questo tipo di formazione: Luce nella notte, corso Alpha. Queste metodologie hanno principalmente uno scopo formativo alla Chiesa in uscita a alla conversione pastorale, e non solo a un’azione specifica di evangelizzazione verso i “lontani”.
La catechesi catecumenale è dentro questa mentalità. Le nostre parrocchie vivono la catechesi catecumenale con questa nuova mentalità o semplicemente vivono un metodo nuovo, ma con la mentalità precedente?

3) Promuovere il coraggio di sperimentare: si tratta di non limitarsi ad assumere l’atteggiamento delle sentinelle, che rimanendo dentro la fortezza osservano dall’alto ciò che accade attorno, bensì coltivare l’attitudine degli esploratori, che si espongono, si mettono in gioco in prima persona, correndo il rischio di incidentarsi e di sporcarsi le mani. Per sperimentare bisogna avere il coraggio di ridimensionare le proposte attuali. Le comunità sono già oberate e schiacciate di attività pastorali, aggiungerne altre è solo deleterio. Come fare? Che priorità dare?

«Di fronte a un certo attivismo pastorale è emersa l’esigenza, soprattutto da parte del tavolo dei giovani, di proporre cammini di fede che comprendano esperienze significative di preghiera, di formazione liturgica e di accompagnamento spirituale. C’è domanda di interiorità, ma che ancora non trova risposte soddisfacenti nelle scelte di educazione alla fede dei giovani nelle nostre Chiese locali. Mentre le parrocchie sembrano riservare più attenzione all’aggregazione e all’animazione, la domanda di interiorità sembra maggiormente soddisfatta all’interno delle associazioni e dei movimenti ecclesiali».

3- “ … nella comunione …” – La comunità educante (evangelizzante)
1) Lo Spirito chiede una continua uscita/conversione a tutti i credenti affinché si riconoscano evangelizzatori; una conversione che non si pone solo sul piano morale, ma anche sul piano dell’apertura mentale e della fedeltà all’impulso imprevedibile dello Spirito stesso, per superare le precomprensioni rigide e per riscoprire la forza liberante del Vangelo.
Passare da una attenzione esclusiva verso chi viene evangelizzato a una specifica attenzione a chi evangelizza. Qui emerge tutta l’importanza della comunità ecclesiale come soggetto di evangelizzazione e al suo interno, in particolare, delle famiglie.
Annunciare la Parola ravviva la consapevolezza del Battesimo, che è chiamata alla missione. Diceva il beato Puglisi: «Tutti chiamati. Tutti mandati».

2) Riscoprire appieno la soggettività dell’intera comunità cristiana in ordine all’evangelizzazione. Qui l’importanza di un reale confronto e dialogo tra parrocchie e realtà associative, come pure di uno stile di sinodalità nella Chiesa.
Riconfigurare e rilanciare gli organismi di partecipazione; in particolare, si tratta di ragionare in termini di corresponsabilità di tutti alla costruzione della comunità
Avviare un processo sinodale: l’esperienza vissuta durante i giorni del Convegno ci ha permesso di saggiare e condividere uno stile di ascolto e di confronto; ci ha fatto sperimentare che è realmente possibile esercitare il discernimento comunitario. Continuare questo metodo anche nelle diocesi.

4- “ … nello spezzare il pane e nelle preghiere …”
1) La celebrazione eucaristica domenicale sembra essere vissuta come luogo formativo dell’uscire, luogo privilegiato per la formazione degli evangelizzatori.
La liturgia è l’evento di trasfigurazione sia in quanto culmine che in quanto fonte di tutta la vita cristiana. Si chiede un profondo rinnovamento che coinvolga tutti, pastori e fedeli nella preparazione e nell’intelligenza della liturgia

2) Rilevando una certa frammentarietà della proposta pastorale si è evidenziata la difficoltà di tenere insieme annuncio, liturgia e carità, spezzando così l’alleanza tra Parola di Dio e profezia, tra Parola e partecipazione ai sacramenti, tra Parola e carità.
L’urgenza, allora, è quella di dare circolarità a queste tre componenti.

3) Riaffermare il posto centrale che occupano la liturgia, la preghiera e i sacramenti nella vita ordinaria delle comunità. La liturgia è il luogo dove la Chiesa stando alla presenza di Dio diventa ciò che è, ascoltando il Vangelo discerne la sua missione nel mondo.
Solo quella comunità cristiana che pone al centro la liturgia riconosce che ciò che la tiene in vita non è il suo attivismo talvolta sfibrante, ma ciò che il Signore fa per lei. Nel suo essere priva di scopi, la liturgia addita il valore della gratuità e che la misura del nostro essere Chiesa non è il conseguimento di risultati verificabili e dunque mondani, ma l’essere Chiesa secondo il Vangelo. Perché, “non è dai risultati che si giudica il Vangelo”.
L’evangelizzazione di una comunità nasce dall’adorazione, non dalle attività.
5- “… il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” – Il campo è il mondo

5.1- Uscire
1) Condizione essenziale è quella di riconoscere che «uscire» è più un movimento che una dotazione; non costituisce un’attività particolare accanto ad altre, bensì rappresenta lo «stile», ovvero la forma unificante della vita di ciascun battezzato e della Chiesa nel suo insieme. Infatti, come ha rimarcato il papa, «l’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale».

2) La Chiesa che celebra e che prega è anche la Chiesa in uscita.
Non possiamo nascondere il timore che, se compreso in modo distorto, l’invito evangelico di papa Francesco a una Chiesa sempre in uscita, possa far pensare che tra la chiesa in preghiera e la chiesa in uscita possa esserci contrapposizione: l’una rivolta al suo interno attraverso la preghiera, la liturgia e i sacramenti; l’altra impegnata a uscire per raggiunge tutte le periferie.
La preghiera è il primo atto di una Chiesa in uscita, come la preghiera di Gesù nel luogo deserto è il primo atto della sua missione a Cafarnao. La Chiesa che celebra è la stessa che va verso le periferie esistenziali, per la semplice ragione che oggi, per un numero sempre più grande di persone, la liturgia è soglia al mistero di Dio.
Negheremmo l’evidenza dei fatti se non ammettessimo che la pastorale dei sacramenti è oggi chiaramente una pastorale missionaria. (Catechesi catecumenale).
Per questo, l’azione sacramentale è essa stessa scelta missionaria di una Chiesa dalle porte aperte che incontra i lontani e trasfigura i luoghi dove la vita accade.

5.2- Annuncio
1) L’annuncio ha il sapore della gioia, l’Evangelii gaudium, la gioia del Vangelo.
Annunciare è gioire, è aumentare la propria vita (EG 10); è «osare», «è condividere», perché non esiste gioia che non senta il bisogno di essere condivisa.
Afferma papa Francesco: desideriamo una «stagione evangelizzatrice più fervorosa, gioiosa, generosa, audace, piena d’amore fino in fondo e di vita contagiosa!» (EG 260).

2) Creare relazioni, prendersi cura e accompagnare.
Per donare Gesù agli altri è essenziale creare percorsi di accompagnamento concreto e personalizzato. Ogni persona è degna della nostra attenzione (EG 274) che diventa ascolto delle esperienze concrete.

5.3- Carità
1) La cura nei confronti delle persone segnate da diverse forme di emarginazione e da ferite provocate da sofferenze o situazioni della vita. È ben visibile una vera e propria «costellazione di espressioni di carità» che connotano la pratica quotidiana della Chiesa

2) Annunciare è decentrarsi. È l’ascolto meditato e pregato del Vangelo che permetterà allo Spirito Santo di portare la comunità sulle strade degli uomini, per incontrare le fragilità dell’umano, negli incroci dei sentieri della vita in un percorso fatto di vicinanza, accoglienza, incontro, accompagnamento e condivisione, con grande attenzione alle esigenze dei territori.

LA NOSTRA REALTÀ DIOCESANA

1- Interessante è stata la conoscenza all’interno della delegazione della nostra diocesi di Milano, dove ho preso consapevolezza maggiore della sua vastità, molteplicità e ricchezza, ma allo stesso tempo frammentarietà. La vastità della diocesi non aiuta e fatica sostenere un lavoro di comunione, per l’impossibilità di una uniformità. Come fare? Non so …

2- Facciamo molto e il rischio del pelagianesimo è più facile di quanto sembri.
Nelle nostre comunità parrocchiali siamo molto forti ed organizzati nella carità, nella catechesi (iniziazione cristiana, preado, ado, giovani, …), nella pastorale giovanile con gli oratori, … c’è proprio tanto bene e si sta facendo molto del bene.
Queste attività stanno evangelizzando, stanno facendo cultura? Stiamo facendo semplicemente della buone azioni o stiamo annunciando Cristo (il confine è apparentemente sottile, ma è sostanziale)? Quanto stiamo investendo nell’evangelizzazione? Siamo così sicuri che stiamo evangelizzando o stiamo semplicemente vivendo il vangelo come testimonianza (non c’è contrapposizione, ma la giusta differenza)? Il vivere queste attività nasce da una religione etica che fa riferimento a Gesù e al suo Vangelo (per tradizione) o da un incontro sconvolgente d’amore con il Cristo risorto da non desiderare altro che annunciarlo e a vivere come lui attraverso tutto quello che si sta facendo?

Un esempio significativo sulla difficoltà ad essere una Chiesa in uscita.
Nella pastorale giovanile (preado, ado e soprattutto dai 18 anni in su) si stanno incontrando molte difficoltà. Dai 20 ai 30 anni l’1% dei giovani dell’intera popolazione partecipa alle attività dei nostri ambienti (oratorio, catechesi, movimenti/associazioni, …) e il 13% la messa domenicale.
Quel 1% ha grosse difficoltà a vivere una chiesa in uscita, non va oltre alla sua messa domenicale, la sua catechesi (nel migliore dei casi) e il suo essere educatore, oltre al suo impegno universitario o lavorativo.
Sono state riscontrate diverse motivazioni: fragilità interiore (non hanno forti motivazioni), mancanza di entusiasmo e passione per il Vangelo (sembra che non abbiano incontrato Gesù) e il loro essere molto impegnati nelle molteplici attività della parrocchia. Un prete di pastorale giovanile coglie queste difficoltà e quindi non rischia oltre l’ordinario, con la paura di perdere la stragrande maggioranza del gruppo giovani che sta accompagnando.

Esempio concreto: su un gruppo di 15 giovani alla catechesi o impegnati, solo 2 desiderano vivere una Chiesa in uscita, agli altri semplicemente non interessa o fa paura. Un prete giustamente pensa anche agli altri 13, col rischio di bloccarsi.
Che rischio vogliamo prendere? Crediamo allo Spirito che può compiere profezie anche solo con 2? Salviamo il salvabile o dobbiamo essere profetici? Come essere equilibrati in questo?

Nella nostra pastorale ordinaria è avvenuta un cambiamento di mentalità, una conversione pastorale?
Stiamo conservando ciò che c’è, e giustamente … però tutte queste attività assorbono la totalità delle forze ed energie disponibili, fino a spremere le persone e la comunità, e l’evangelizzazione è vista come delle attività in più e non come uno stile che caratterizza tutto il nostro agire.
Le comunità sono chiamate a compiere dei tagli nelle attività? Come aiutare un discernimento di questo tipo? Come aiutare le comunità a questi cambiamenti prima di mentalità e poi di attività?
Le comunità con le attività, che fanno normalmente, stanno evangelizzando?
Stanno formando evangelizzatori?
Come dare priorità alle attività di formazione degli evangelizzatori?

Come abbiamo recepito nelle nostre comunità concretamente, non solo intellettualmente, Evangelii Gaudium? Il Dio vicino? Il campo è il mondo? La comunità educante (evangelizzante)?

3- In diocesi, non conviene presentare Firenze, conferenze e relazioni su come è stato fatto e su cosa si è discusso e a quali conclusioni si è arrivati, ma far continuare il processo e il metodo già attivato, o meglio farlo iniziare. Il vero frutto di Firenze è stato il modo di essere Chiesa sinodale vissuta. Iniziamo un vero processo sinodale.

p Francesco Ghidini