La pagina del Vangelo di Giovanni proclamata può essere di aiuto a nutrire la nostra vita spirituale e comunitaria.
“Otto giorni dopo la Pasqua i Discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso chiamato Dìdimo – Gemello.
Gemello di chi? Il Vangelo non lo dice ma conoscendo Giovanni non si fatica a identificare i suoi lettori come gemelli di Tommaso. Quindi noi siamo i gemelli di Tommaso.
Tommaso non è nostro gemello perché incredulo ma in quanto catapultato nel tempo della Chiesa, tempo nel quale non vediamo e non tocchiamo Gesù Risorto. Otto giorni dopo Tommaso può vedere e toccare Gesù Risorto come gli altri dieci, il corpo spirituale di Gesù diverso, ma il suo stesso corpo con le stesse cicatrici. Un corpo simile a quello che il Signore ci donerà dopo la nostra morte.
Tommaso per non essere rimproverato da Gesù avrebbe potuto percepire in quella prima Comunità lo Spirito del Risorto. Spirito che sussurrava nel cuore di ciascuno:
“Fidati della Parola dei tuoi amici condiscepoli, grazie a cui intuirai che Cristo è risorto.
Fidati della carità che traspare dai rapporti personali di queste persone: non riuscirebbero a fare nulla se Cristo non fosse risorto.
Fidati della pace interiore e della gioia donata dallo Spirito che Lui aveva donato: “Pace a voi!” e aveva mostrato loro le sue mani e il suo fianco ed essi gioirono nel vedere il Signore”.
Tommaso, purtroppo, non era lì. Tuttavia durante tutta una settimana avrebbe potuto vedere negli altri apostoli i frutti dell’incontro con il Risorto.
Poi c’è un’altra esperienza di Chiesa che possiamo fare nel contesto di questi mesi tanto disagiati e sofferti di pandemia: è l’esperienza del perdono reciproco.
La sera del giorno di Pasqua Gesù aveva soffiato il suo Spirito e aveva detto: “Ricevete lo Spirito Santo a coloro che perdonerete sarà perdonato”.
C’era proprio bisogno di perdono in quella piccola Comunità. Pensateci: Giuda aveva tradito il Maestro, Pietro era lì con il peso della coscienza di avere rinnegato in maniera così meschina il Signore. Gli altri lo sapevano ma anch’essi avevano abbandonato Gesù.
Attraverso la decisione di tornare ad avere stima degli altri, nonostante la loro infedeltà nei confronti di Gesù. E si sa nella Chiesa oggi come sempre, è difficile perdonarsi a vicenda.
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Veniamo a noi, in questa sera della seconda domenica dopo Pasqua che ricorda il rito della riconsegna della Veste battesimale indossata nella Veglia Pasquale. Ricevendo il Battesimo riceviamo lo Spirito del Risorto.
Noi, gemelli di Tommaso, riceviamo lo Spirito del Risorto che, nei sacramenti, ci consente di sperimentare pace, gioia, misericordia. E poi in tutte le belle relazioni che siamo capaci, anche a distanza, di costruire tra noi.
Quando incontriamo difficoltà nella vita quotidiana, è richiesta una grande dedizione credere nello Spirito santo e, di conseguenza, nella possibilità, per sé e per gli altri di essere buoni.
Quando si è sopraffatti dalla sofferenza, è atto di gran fede rendersi conto della fedeltà di Dio e del fatto che Gesù ha dato senso alla sofferenza.
Ciononostante, in quanto gemelli di Tommaso possiamo fare l’esperienza dello Spirito Santo. Avvertire in noi il vento della misericordia dello Spirito e ripetere la professione di fede di Tommaso così bella: “Mio Signore, Mio Dio”. Dove ciò che conta è quel “mio”.
Tommaso ha fatto un passo notevole per quei tempi. Gli ebrei davano del Signore e usavano il nome Dio come il Dio d’Israele. Lui osa dire “mio” a Gesù, un uomo, riconoscendone la divinità.
Una professione di fede che supera tutte le altre presenti nel vangelo di Giovanni. Quello che più conta sta in quel “mio”. Perché fino a quando ciascuno di noi non dice “Mio Signore, mio Dio” il rischio è che questa formula sia lontana dalla nostra vita. Al contrario quando ne è parte intima, noi affermiamo che Cristo Risorto è tutto per noi.
Non capiti, infine, di avere la pretesa di Tommaso di vedere e toccare: ci sentiremmo ripetere da Gesù “Beati coloro che pur non vedendo il mio Corpo, mi vedono nella Comunità cristiana guidata dallo Spirito Santo.
Proprio quest’ultimo pensiero mi induce a ricordare, come preghiera di invocazione, la quarta strofa dell’Inno Adoro te devote di san Tommaso d’Aquino:
“Nelle piaghe, come Tommaso, non vedo
tuttavia confesso Te mio Dio,
fammi credere sempre più in Te
che in Te io abbia speranza,
e che io Ti ami”. Amen.
Giuliano Veronese