At-tendere

13 novembre 2022
I DI AVVENTO (A)
Matteo 24,1-31

Riflessione a cura di don Erminio Villa.

1. At-tendere

Oggi diamo inizio all’avvento. L’avvento non ci azzecca con il morello. Forse ci azzeccherebbe se l’avvento ci affacciasse all’immagine di una distruzione totale. Non ci rimarrebbe che piangere o forse nemmeno piangere. 

Ma l’avvento è forse attesa di una catastrofe? Un’attesa che ci fa impauriti e depressi? O è altro? 

Forse non ci aiutano i toni apocalittici del discorso di Gesù nel vangelo di Matteo, che, estrapolati dal contesto del loro genere letterario, potrebbero risuonare ai nostri orecchi inquietanti.

Quando invece, quelle parole, Gesù le ha dette per rassicurarci che, anche nei giorni più difficili, non siamo abbandonati a forze oscure che sembrano spadroneggiare incontrastate, bensì siamo pensati, pensati da un Dio che è venuto a baciare questa terra, un giorno verrà a radunare, e oggi viene a sostenere il nostro cuore.

L’attesa dell’ultimo grande raduno alla fine dei tempi, che ci è stato ricordato dal vangelo di Matteo, non ci fa mettere i vestiti tristi, anzi ci libera dalle passioni tristi: è un’attesa che ci rialza.

2. Pro-tendersi

C’è un canto che canteremo nei giorni dell’avvento: 

Nella notte, o Dio, noi veglieremo, con le lampade accese, vestiti a festa, presto arriverai e sarà giorno“.

Vestiti con i colori della festa. Il cuore non impaurito, ma come di chi attende una persona che gli è cara. 

Quando tu attendi veramente è come se tu ti protendessi, tanto è il desiderio, tanta la voglia: indovini i passi, vigili sui dettagli, apri la porta in anticipo o la tieni socchiusa.

Possiamo osare questi verbi, i verbi che noi usiamo quando siamo innamorati? Possiamo usarli per l’attesa di Dio? Possiamo protenderci a un oltre? Avvento come protenderci.

Quasi un’occasione per una verifica del nostro protenderci o no. Arte della arti sarebbe svelare come i tempi della liturgia possano oggi parlare ancora alla nostra vita.

“Protendersi” è un verbo contro il rigido, l’impermeabile, l’immobile. Possono accendersi per strada mille canzoni, possono sussurrare nell’aria una infinità di voci, di richiami, di segni. Niente! Immobili, rigidi, impermeabili. Come fossimo trattenuti. Non ci sbilanciamo. L’amore fa sbilanciare (anche a rischio di cadute). Come i fiori: anche loro sono protesi, protesi alla luce.

3. Trat-tenere

Il verbo dell’avvento “protendersi” ha come suo contrario il verbo “trattenersi” e “trattenere”. 

State in guardia da tutto ciò che vi trattiene. Ci sono forze che ci trattengono. Sono quelle di coloro che ti gridano: “Non andare, fermati, sono il Cristo”.

Ci pretendono servi, in adorazione dei loro pensieri, dei loro disegni, ossequienti.Sono contro tutto ciò che ti fa pensare, immaginare, scegliere. 

Ciò che devi pensare immaginare e scegliere sta in quello che loro ossessivamente, quasi fosse un mantra, vanno predicando. Ti trattengono; e se dici il contrario, ti espellono. 

Il vangelo d’oggi ci metteva in guardia da queste forze, a volte oscure, che in effetti rubano il posto a Dio:

Badate che nessuno vi inganni. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: Io sono il Cristo“.

Li possiamo riconoscere: dalla perentorietà della loro voce, che non è quella, certo, dello svelamento di Dio sull’Oreb, che era “una sottile voce di silenzio”.

Ecco allora la domanda è: “io mi protendo o mi lascio trattenere? Da parte mia, metto in gioco forze che fanno trattenuti gli altri 

o al contrario forze che li fanno protesi? Mi prende la passione di vederli fiorire o ho la passione triste di farli rinsecchire? 

Spengo gli entusiasmi o creo avventi, creo veglie, creo attese nei cuori? Io ho il cuore in veglia?

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don Erminio