Cibo come un fare

SYMBOLUM – cibo come un fare

Cara beltà che amore

Lunge m’inspiri o nascondendo il viso,

Fuor se nel sonno il core

Ombra diva mi scuoti,

O ne’ campi ove splenda

Più vago il giorno e di natura il riso;

Forse tu l’innocente

Secol beasti che dall’oro ha nome,

Or leve intra la gente

Anima voli? o te la sorte avara

Ch’a noi t’asconde, agli avvenir prepara?

(Giacomo Leopardi)

Ebbe bisogno di sedersi all’ombra, “affaticato per il viaggio” (Gv 4,6b) tra le ferite dell’umana esistenza. Presso “un pozzo” (Gv 4,6a) si mise a sedere mentre i suoierano andati in città a fare provvista di cibi” (Gv 4,8).

La tentazione del pane – Suo esordio nell’umano – la conobbe come permanente. Fino alla fine.

Nell’ora del coprifuoco, la più calda, a “mezzogiorno” (Gv 4,6c) giunse una donna. Ella pensò di non trovare nessuno ad ostacolarla nella veloce impresa. Un’ora improbabile nella quale la probabilità di non incontrare nessun altro era sicura.

Donna ferita, che conosce le occhiate perforanti e nemiche; giudizio ingiusto che grava e condiziona.

La sorpresa di quell’Uomo la imbarazza. Il pozzo racconta le passioni avvincenti dei giovani, i primi baci rubati nella tenerezza di due che si percepiscono come uno; le promesse di sposalizio conosco qui il loro altare.

Dammi da bere” (Gv 4,7b). La Sua sete è assetare quel senso di vuoto che ferisce il cuore. Ha sete della sua sete; Suo compito è dissetare le altrui seti.

La donna arrivò frettolosa per soddisfare un bisogno perpetuo. Se ne andò lasciando “la sua anfora” (Gv 4,28a) perché soddisfatta nel desiderio. Fu per lei segno di “profonda conoscenza” (Ef 1,17b).

A quel pozzo venne riaccesa l’antica alleanza, legame sponsale tra l’uomo e il Divino: “ti ho fatto uscire dalla condizione servile” (Es 20,2b). La sua vita era divenuta un legame stretto; silente nel suo essere ab-usata. La rassegnazione era ormai modellata sul volto e nel corpo.

Al pozzo venne slegata non in una religio ma in un incontro che la resero aperta ad altro.

Tornarono i suoi con gli approvvigionamenti, preoccupati del solo stomaco. Ad attenderli la Sua risposta: “io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete. Fare la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 4,32b.34a).

Aver assetato d’Infinto quella donna straniera fu per lui il banchetto più solenne.

Sua fame sarà assetare – nel totalmente darsi – chi incontra. L’acqua che dona ricorda di una capacità d’apertura. Il Suo cibo è sempre un-fare (all’)altro.

Quaresima è scoprire tutto questo altro.

Alessandro