Il Figliol Prodigo | Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino

LA STORIA DEL FIGLIOL PRODIGO

23 febbraio 2020
PENULTIMA DOPO L’EPIFANIA
Giovanni 8, 1-11

Riflessione a cura di don Erminio Villa

1La storia del figlio prodigo è quella dell’umanità ferita eppure incamminata

È la storia di una ‘felix culpa‘ (un’esperienza negativa che ha avuto un esito positivo) che ha favorito una conoscenza più profonda del cuore del Padre. Il figlio più giovane un giorno se ne va, in cerca di se stesso, in cerca di felicità. Non gli basta la casa, né il padre e il fratello. Forse la sua ribellione non è che un preludio ad una dichiarazione d’amore. Quante volte i ribelli in realtà sono solo dei richiedenti amore.

Cerca la felicità nelle cose, ma si accorge che le cose hanno un fondo e che il fondo delle cose è vuoto. Così succede che il ribelle, diventato servo, va a pascolare i porci e si disputa il cibo con le bestie. Allora ritorna in sé, chiamato da un sogno di pane: 

Ci sono persone nel mondo con così tanta fame che per loro Dio non può avere che la forma di un Pane.
(Gandhi). 

Non torna per amore, ma per fame. Non perché pentito, ma per la paura: si sente la morte addosso. Ma a Dio non importa il motivo per cui ci mettiamo in viaggio. Basta fare un primo passo. 

2. L’uomo cammina, Dio corre… l’uomo si avvia, Dio è già arrivato

Infatti: il padre, vistolo di lontano, gli corse incontro... E lo perdona prima ancora che apra bocca; il suo è un amore che previene il pentimento. Il tempo della misericordia è l’anticipo. Si era preparato delle scuse, il ragazzo, continuando a non capire niente di suo padre. Niente di Dio, che “perdona non con un decreto, ma con una carezza” (papa Francesco). Con un abbraccio, con una festa. Senza guardare più al passato, senza rivangare ciò che è stato, ma creando e proclamando un futuro nuovo. 

Dove il mondo dice “perduto”, Dio dice “ritrovato”; dove il mondo dice “finito”, Dio dice “rinato”. E non ci sono rimproveri, rimorsi, rimpianti. 

3. Il padre esce a pregare il figlio maggiore (anche lui va ricuperato)

È alle prese con l’infelicità che deriva da un cuore non sincero: ha un cuore di servo e non di figlio. Per questo il papà tenta di spiegare e di farsi capire… Alla fine non si sa se ci sia riuscito. 

Questo padre non è solo giusto, è ben di più: è amore, esclusivamente amore. Ma allora Gesù vuol dire che Dio è così? Così eccessivo, al punto da essere esagerato? Sì, il Dio in cui crediamo è così. Immensa rivelazione per cui Gesù darà la sua vita.

Un figlio è andato lontano, l’altro, che è rimasto, è più lontano del primo. Il primo mette tra sé e il padre anche la distanza fisica, il secondo abita nella stessa casa, ma è abissalmente lontano per l’aspetto spirituale e affettivo. I due fratelli hanno in comune gli stessi disvalori: per loro il padre non conta molto, forse niente. Contano solo i suoi beni. 

Coerentemente, il ritorno del figlio spendaccione non sembra che sia guidato da grandi ideali; nell’estremo bisogno, ha un progetto meschino. Non desidera essere nuovamente figlio, ma solo salariato. Pensa che il padre sia come lui, uno che imposta le relazioni sulla convenienza e sul contratto. Anche il maggiore mostra la pochezza dei suoi sentimenti e si arrabbia, quando sente che il fratello minore, tornato a casa, è stato trattato da figlio. In questo modo rivela con il suo ragionamento che lui non è né figlio né fratello. 

Ecco gli uomini. In questi due fratelli siamo rappresentati noi. Questa parabola rivela il cuore di Dio, ma anche il nostro. Non occorre fare esempi di ciò che succede nelle famiglie. La parabola mette in risalto che non ci meritiamo affatto l’amore che Dio ha per noi. Il Padre rivela un altro mondo, il suo, in cui contano le persone e non i contratti o i beni materiali. Quando il Padre dice che “bisognava” riaccogliere il prodigo, così come “bisogna” uscire di casa e umilmente dialogare con il maggiore, sta parlando non di una necessità di calcolo, ma di una necessità d’amore. L’unica che fa vivere.