Paolo, il misericordiato

Il racconto di conversione di Paolo ci dice come il pensiero di Dio sia così tanto diverso dal nostro.

Scrivendo a Timoteo, egli stesso dice di sé: “prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento” (1Tm 1,13a). E’ comprensibile il sospetto che gli apostoli avevano nei suoi riguardi e che lo stesso Anania, mandato da Gesù a Paolo, confessa: “Signore, riguardo a quest’uomo ho udito da molti quanto male ha fatto ai tuoi fedeli a Gerusalemme” (At 9,13).

Ma il cambiamento, per Dio, è possibile e la conversione radicale di Paolo ci educa ad una visione corretta sull’uomo: noi non siamo il nostro errore! Dio, differentemente dagli uomini, non etichetta i figli suoi. Il figlio, anche se sbaglia commettendo la più grave delle colpe, rimane comunque figlio. Questo lo testimoniano tutti i genitori.

Paolo, “mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco” (At 9,3a) con lo scopo di condurre in catene tutti gli appartenenti a Cristo che avesse trovato, “all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, udì una voce” (At 9,3b-4a). Paolo assiste ad una manifestazione/epifania di Gesù che gli domanda: “Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?” (At 9,4b).

Toccare i suoi significa toccare Lui. E’ ciò che sta avvenendo in diverse parti del mondo. Eppure c’è una verità di fondo: non ci si può sbarazzare dei cristiani perché non ci si può sbarazzare di Cristo! E c’è una sorta di legge mistica per cui “la terra, bagnata di lacrime, sorriderà con perle di amore, e irrorata col sangue dei martiri farà germogliare i cristiani” (Pio XII).

Paolo, che crede di essere nel giusto e di eliminare questa – a detta di lui – nuova setta, si scontra, sulla “Via” (At 9,2b), con la Verità: Gesù. Paolo, che crede di vedere, “si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla” (At 9,8a). La luce della Verità annienta la menzogna e “l’ignoranza” (1Tm 1,13b). “Per tre giorni rimase cieco” (At 9,9a). Non è punizione ma tempo di purificazione: l’incontro sulla via di Damasco lo porta a rivedere tutta la sua vita.

L’incontro con il Signore non lascia mai come prima ma segna nel profondo e ha grazia di conversione.

Il Signore manderà Anania in suo aiuto dicendogli di “imporgli le mani perché recuperasse la vista” (At 9,12b). Alla sua obiezione, il Signore spiega che “egli è lo strumento che ho scelto per me” (At 9,15a).

L’icona di Anania è sintesi di noi cristiani, mandati a imporre le mani e ridare la vista a coloro che pensano di vedere. L’imposizione delle mani ha doppia valenza: “perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo” (At 9,17b). Che bella sarebbe una Chiesa che torni a riscoprire e a praticare questi gesti semplici fatti nella fede che dicono la partecipazione all’altro.

Il ministero di Paolo inizia con un nuovo modo di vedere e con il Battesimo nello Spirito. Paolo, non più contemporaneo di Gesù, è dotato in poco tempo dello stile di vita esperimentato dagli apostoli: l’incontro con Lui, un nuovo modo di vedere e di pensare secondo Lui e l’esperienza della Pentecoste. Egli è abilitato dallo Spirito alla missione. Questo non è secondario o accessorio ma principiale: una Chiesa non mossa dallo Spirito può avere ottimi progetti, ottimi leader, ottime iniziative ma rimarrà una pura pratica umana destinata al fallimento. Paolo, come gli apostoli e come noi, ha bisogno di una vita nuova nello Spirito, ha bisogna di essere effuso, ha bisogno di ricevere la forza necessaria. Senza lo Spirito Santo tutto diventa monotono e monocromo. Il Paolo missionario è anzitutto “pedagogo” dello Spirito.

Ogni ministero, ogni vocazione non può prescindere da questi tre pilastri, tre “piaghe di misericordia”.

Paolo è il primo non-contemporaneo di Gesù e non-apostolo a diventare ministro del Vangelo: “perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” (1Tm 1,16).

Paolo, in definitiva, incarna l’esperienza di milioni di cristiani lungo i secoli.

Paolo è un “misericordiato” (Misericordia et misera,16): “mi è stata usata misericordia… per questo ho ottenuto misericordia” (1Tm 1,13b.16a). Dunque, proprio perché “misericordiato”, egli diventa “strumento di misericordia” (Misericordia et misera,16). Paolo, fino alla fine dei suoi giorni, diverrà infaticabile ministro di misericordia tra le genti. Chi è toccato nel più intimo dall’amore di Dio non può far altro che diventare portatore di questo amore fino al martirio. Paolo, che martirizzava, morirà da martire.

Ecco perché sullo sfondo risuona la domanda di Pietro: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?” (Mt 19,27). Che, in poche parole, può essere sintetizzata così: quale convenienza abbiamo nel seguirti? Che convenienza c’è nello scegliere Gesù e rinunciare al resto?

Ogni scelta include delle rinunce; rinunce possibili in vista di un bene più grande volto al compimento-di-sé. Paolo deve avere intuito questo bene insuperabile: “riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29b). Seguire Gesù è conveniente per la vita. Il centuplo è promesso quaggiù, qui-e-ora, e come eredità la vita eterna, che è promessa di Cielo: il rimanere con Lui per sempre. In definitiva la convenienza vitale è che Gesù si implica nello stare con noi qui affinché noi ci implichiamo a stare con Lui .

Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io” (1Tm 1,15). A ben vedere, questa è la missione di Paolo tra le genti.

Che diventi anche la nostra!

Alessandro