16 ottobre 2022
DEDICAZIONE DEL DUOMO (C)
Luca 6,43-48
Riflessione a cura di don Erminio Villa.
1. Siamo cristiani buoni o cattivi?
Nei versetti precedenti (38-42) erano state elencate le caratteristiche dei falsi cristiani: ciechi, pretenziosi, severi verso gli altri e benevoli verso di sé e, soprattutto, illusi di non aver bisogno di perdono.
Nei versetti 43-45 ci viene presentato il problema più serio: siamo piante cattive che producono frutti cattivi.
Per guarire da questo inconveniente esiste un solo rimedio: accettare l’innesto nell’unico albero buono che produce frutti buoni: l’albero della misericordia di Dio, la croce di Cristo. È inutile sforzarsi di fare frutti buoni fino a quando restiamo alberi cattivi. E restiamo alberi cattivi fino a quando non ci decidiamo ad essere totalmente di Cristo.
L’albero della vita produce frutti di grazia e di misericordia, i frutti dello Spirito. “Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé“. Questa lista fornitaci da Paolo ci fa capire se siamo cristiani buoni o cattivi.
2. Si può passare dalla cattiveria alla bontà
Ma, mente un albero cattivo non può diventare buono, un uomo cattivo può e deve diventare buono. Il vangelo ci chiama a conversione, a passare dalla cattiveria alla bontà. Un cristiano si valuta solo dalla bontà del cuore, d’animo. Tutto il resto (preghiera, sacramenti, pratiche religiose, ecc.), o serve per diventare buoni d’animo, o non serve a niente.
Questa bontà si manifesta attraverso l’amore concreto per il prossimo, che antepone i fatti alle parole, secondo l’insegnamento della prima lettera di Giovanni: “Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità” (3,18). Cristiano non è chi parla come Cristo, ma chi vive e opera come Cristo. L’importante non è dire cose belle su Dio, ma fare la volontà del Padre ed essere così una rivelazione del suo volto e della sua presenza nel mondo.
3. Dalla parola ascoltata nascono le opere della fede
La parabola della casa costruita su roccia o sabbia conclude nel modo migliore tutto il discorso. La salvezza non consiste solo nel riconoscere Gesù come “il Signore”, ma anche nel fare la sua volontà.
La fede che si ferma alla conoscenza e non diventa esperienza che trasforma la vita, è diabolica: “Tu credi che c’è un solo Dio? Fai bene; anche i demoni lo credono e tremano!… La fede senza le opere è morta” (Giac 2,19.26).
Dalla parola ascoltata, accolta e custodita gelosamente nel cuore nascono necessariamente le opere buone della fede.
Il cristiano dev’essere ben piantato in Cristo, saldamente radicato e fondato nella fede. Deve aver raggiunto salde e profonde convinzioni e soprattutto un serio impegno di vita, per non crollare davanti alle contrarietà e alle prove. Un cristianesimo fatto solo di belle parole, di bei gesti, di belle celebrazioni liturgiche non resiste alle immancabili persecuzioni e alle avversità della vita.
Ascoltare e mettere in pratica, ecco la conclusione finale del Discorso della Montagna. Molti cercavano sicurezza e potere religioso in doni straordinari o nelle osservanze. Ma la sicurezza vera non viene dal potere, ma da Dio.
E Dio diventa fonte di sicurezza, quando cerchiamo di fare la sua volontà. E così lui sarà la rocca che ci sostiene, nell’ora delle difficoltà e della prova.
-- don Erminio