Zaccheo

La pazienza di Dio e la nostra

2 marzo 2025
ULTIMA DOPO L’EPIFANIA (C)
Luca 19,1-10

Riflessione a cura di don Erminio Villa.

1. La pazienza di Dio e la nostra

Apre la liturgia della Parola un testo sapienziale: il Libro del Siracide con tre caratteristiche di cui Dio abbonda: la pazienza, la misericordia e il perdono. 

La prima, Dio è paziente (makrothýmos), il quale, come dice il profeta Ezechiele, “non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (Ez 33,11). 

La Croce di Gesù è il vertice della pazienza di Dio. Il teologo protestante Eberhard Juengel scriveva che la pazienza di Dio è “il lungo respiro della sua passione”, come ricorda Siracide, non solo per chi gli è più vicino (come facciamo noi), ma per ‘ogni essere vivente’. 

Per noi la pazienza deve diventare fede che perdura nel tempo, cioè perseveranza sostenuta dalla capacità di guardare e sentire in grande, come suggerisce l’etimo greco. 

La pazienza ci porta a riconoscere la nostra incompiutezza, dunque diventa pazienza verso noi stessi; essa riconosce la fragilità delle relazioni con gli altri, dunque diviene capacità di non disperare, di non lasciarsi abbattere nelle tribolazioni e nelle difficoltà, diviene perseveranza, capacità di rimanere e durare nel tempo senza snaturare la propria verità. 

La pazienza è dono da invocare dallo Spirito Santo (Lettera i Galati 5,22). Da ultimo, la pazienza diviene anche capacità di sup-portare gli altri, sostenerli con la loro storia. 

2. La misericordia

Circa la misericordia molto abbiamo già argomentato: essa è istinto buono verso le altrui miserie, ma anche creatività generatrice d’istituzioni che tengano profeticamente viva l’attenzione agli ultimi della terra. 

Anch’essa è primariamente dote divina, che in ogni messa invochiamo chiedendo che le viscere materne di Dio si contraggano di compassione per noi (Kyrie eleison). 

3. Il perdono

La terza caratteristica è il perdono, lungo e faticoso cammino, non scevro da forte sofferenza personale per accoglierlo (fatichiamo spesso a perdonarci) e per donarlo. 

Circa il perdono a se stessi per atti compiuti, è bene sapere che agli occhi di Dio nulla è imperdonabile dopo un sincero pentimento. Più difficile pacificare la nostra psiche, i suoi ricordi che, malignamente, lacerano la quiete dei nostri pensieri. 

Un primo passo ce lo suggerisce il brano di Luca sulla conversione di Zaccheo, quando Gesù lo chiama e va da lui, con un gesto che potremmo definire socialmente “sconsiderato”.

Zaccheo è costretto a salire su un albero non semplicemente perché basso di statura, ma anche perché nessuno lo avrebbe fatto salire al piano superiore della propria casa. Era un reietto. Proprio a lui Gesù si rivolge. 

Chiarito questo, se noi vogliamo avviare il cammino arduo di recuperare la nostra immagine ai nostri stessi occhi, è necessario partire da gesti forti, segnali di riparazione del male fatto.

Zaccheo dice a Gesù: “Ecco, Signore io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. 

Zaccheo, come ricorda Gesù, si era perduto, ora, grazie a Lui, si è ritrovato, ha imparato ad accettarsi con tutte le sue ferite, a fare i conti con il suo passato, avendo però davanti un futuro luminoso: la salvezza. Questo dono è possibile anche per ognuno di noi. 

— don Erminio