Guarigione del cieco nato - Codex Purpureus Rossanensis

Una luce per i figli di Dio

27 marzo 2022
IV DI QUARESIMA (C)
Giovanni 9,1-38

Riflessione a cura di don Erminio Villa

1. Il miracolo è un ‘segno’

Un intero capitolo composto da 41 versetti (righe) racconta la guarigione di un uomo nato cieco

In verità all’apertura degli occhi l’evangelista dedica due versetti (due righe in tutto). Le altre 39 raccontano quel miracolo che è la fede: l’apertura di uno sguardo che riconosce nell’uomo chiamato Gesù il Signore. 

Il miracolo della guarigione che a noi appare come grande atto di potenza sovrumana, interessa all’evangelista come segno, cioè come gesto che attraverso l’apertura degli occhi dice altro e di più: il venire alla fede che è un nuovo sguardo, che vede in Gesù il Signore. 

La storia del cieco guarito è storia della scoperta della “Luce”. Tutto il vangelo di Giovanni, del resto, è percorso da questa antinomia tra tenebre e luce, tra incredulità e fede, dall’inizio:

La luce brilla nelle tenebre ma le tenebre non l’hanno accolta. A coloro che l’hanno accolta è stato donato di diventare figli di Dio”. È l’eterno conflitto luce-tenebre, fede-incredulità.

2. I protagonisti 

Anzitutto i discepoli: danno voce ad un pregiudizio duro a morire. Dicono: Chi ha peccato perché nascesse cieco? La malattia sarebbe il segno del castigo divino per le colpe commesse. Gesù con una battuta liquida questo pregiudizio: “qui si manifesta la gloria di Dio!”.

Gesù e il cieco. Ancora una volta Gesù prende l’iniziativa della guarigione ma subito coinvolge il cieco nel cammino di guarigione: lui deve andare a lavarsi gli occhi sui quali è stato spalmato il fango.

Questo è il modo con cui Dio viene incontro al bisogno dell’uomo: non fa cadere dall’alto i suoi doni, ma coinvolge l’uomo. Il cammino verso la guarigione, che è anche cammino verso la fede, domanda la nostra attiva partecipazione. E infatti quell’uomo andò, si lavò e tornò che ci vedeva. E la piscina dove si lava si chiama Siloe, che vuol dire Inviato. Chi guarisce è Gesù, l’Inviato di Dio.

Condividiamo la gioia per questi occhi che ora vedono la luce, ma… il bello deve ancora venire! Dal momento in cui il cieco ha ritrovato la vista comincia per lui un altro cammino verso il mistero di quell’uomo che gli ha aperto gli occhi. Chi è quest’uomo? 

3. Il mistero dell’uomo

C’è un cammino progressivo verso il mistero di quest’uomo. Si parte infatti dalla semplice costatazione che si tratta di un uomo che chiamano Gesù. Poi lo si riconosce profeta, più avanti si ammette che se costui non fosse da Dio, non avesse cioè una particolare relazione con Dio, non avrebbe potuto far nulla. 

In seguito è detto l’Inviato, il Messia, il Figlio dell’uomo per arrivare al culmine, quando il cieco guarito si getta ai piedi di Gesù e lo riconosce Signore. Ora finalmente gli occhi vedono davvero cioè riconoscono il mistero di quell’uomo chiamato Gesù.

Il cammino verso la fede, che arriva a riconoscere il volto di Gesù, è come sospinto dalle contestazioni di quanti non vogliono accettare la guarigione. È grazie a queste contestazioni che la fede del cieco guarito si fa sempre più chiara e sicura. Anche per noi le obiezioni, i dubbi, le contestazioni che sembrano scuotere la nostra fede possono diventare l’occasione per una fede sempre meglio pensata e vissuta. 

4. La parabola della nostra condizione

Questa storia ci riguarda, è la nostra storia. Il cieco che non ha nome, ci rappresenta. Forse ci disturba l’essere assimilati ad un cieco, dato che crediamo di avere buoni occhi capaci di penetrare nella complessa struttura della realtà, conoscerla e modificarla. Le scienze non ci hanno forse aperto gli occhi?

Il Vangelo di oggi ci dice che il non riconoscere Gesù come nostro Signore, come la luce e quindi il senso ultimo della nostra esistenza ci fa trovare nell’oscurità. Questa è la nostra condizione.

Non basta avere, come oggi abbiamo, una conoscenza sempre più vasta del mondo, è necessaria una luce che indichi la mèta, il traguardo, il senso del nostro vivere. 

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don Erminio