Resurrezione di Lazzaro | Giotto

La parola che dà vita

3 aprile 2022
V DI QUARESIMA (C)
Giovanni 11,1-53

Riflessione a cura di don Erminio Villa.

1. Lazzaro, l’amico, l’amato…

Di Lazzaro sappiamo poche cose, ma sono quelle che contano: la sua casa è ospitale, è fratello amato di Marta e Maria, amico speciale di Gesù. Il suo nome è: ospite, amico e fratello, insieme a quello coniato dalle sorelle: colui-che-Tu-ami, il nome di ognuno. 

Lazzaro era morto già da tre giorni, quando giunse Gesù; e alle sorelle Marta e Maria disse parole che si sono impresse per sempre nella memoria della comunità cristiana: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno» (Gv 11,25).

La risurrezione di Lazzaro è il culmine dei “segni” prodigiosi compiuti da Gesù: è un gesto troppo grande, troppo chiaramente divino per essere tollerato dai sommi sacerdoti, i quali, saputo il fatto, presero la decisione di uccidere Gesù (cfr Gv 11,53). 

Sulla Parola del Signore noi crediamo che la vita di chi crede in Gesù e segue il suo comandamento, dopo la morte sarà trasformata in una vita nuova, piena e immortale.

La nostra risurrezione incomincia da qui: quando decidiamo di obbedire a questo comando di Gesù uscendo alla luce, alla vita; quando dalla nostra faccia cadono le maschere dei peccati e noi ritroviamo il coraggio del nostro volto originale, creato a immagine e somiglianza di Dio. Ecco fin dove può arrivare la forza della Grazia di Dio e la nostra conversione. 

2. La dichiarazione solenne

«Io sono la risurrezione e la vita». Non già: io sarò, nell’ultimo giorno, in un’altra vita, ma qui, adesso. Per Gesù prima viene la risurrezione e poi la vita. Secondo logica dovrebbe essere il contrario . Invece no: Lui è «la risurrezione delle vite spente».

Vivere è l’infinita pazienza di risorgere, di uscire fuori dalle nostre grotte buie, lasciare che siano sciolte le chiusure e le serrature che ci bloccano, tolte le bende dagli occhi e da vecchie ferite, e partire di nuovo nel sole: «scioglietelo e lasciatelo andare». Verso cose che meritano di non morire, verso la Galilea del primo incontro.

Invidiamo Lazzaro, non perché ritorna in vita, ma perché è circondato di gente che gli vuol bene fino alle lacrime. Perché la sua risurrezione? Per le lacrime di Gesù, per il suo amore fino al pianto. Anch’io risorgerò perché il mio nome è lo stesso: amato per sempreperché il Signore non accetta di essere derubato dei suoi amati. Non la vita vince la morte, ma l’amore. Se Dio è amore, dire Dio e dire risurrezione sono la stessa cosa.

3. La parola che dà vita

Lazzaro, vieni fuori! Esce, avvolto in bende come un neonato, come chi viene di nuovo alla luce. Morirà una seconda volta, è vero, ma ormai gli si apre davanti un’altissima speranza: ora sa che i battenti della morte si spalancano sulla vita.

Anche noi veniamo chiamati ad uscire dal buio della prigione in cui ci siamo rinchiusi, accontentandoci di una vita falsa, egoistica, mediocre. «Vieni fuori!» è un invito alla vera libertà, a lasciarci liberare dalle bende dell’orgoglio, che ci fa schiavi di noi stessi e di tanti idoli. 

Liberatelo e lasciatelo andare! Sciogliete i morti dalla loro morte. E liberatevi dall’idea della morte come fine di una persona. Liberatelo, come si liberano le vele, si sciolgono i nodi di chi è ripiegato su se stesso. E poi: lasciatelo andare, dategli una strada, amici, qualche lacrima e una stella polare.

Tre imperativi raccontano la risurrezione: esci, liberati e vai! Quante volte sono morto, mi ero arreso, era finito l’olio nella lampada, finita la voglia di amare e di vivere. In qualche grotta dell’anima una voce diceva: non mi interessa più niente, né Dio, né amori, né vita.

E poi un seme ha cominciato a germogliare, non so perché; una pietra si è smossa, è entrato un raggio di sole, un amico ha spezzato il silenzio, lacrime hanno bagnato le mie bende, e ciò è accaduto per segrete, misteriose, sconvolgenti ragioni d’amore: un Dio innamorato dei suoi amici, che non lascerà in mano alla morte!

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don Erminio