Dettaglio da Marc Chagall, La Passeggiata, 1917-1918

Le tre felicità

14 agosto 2022
X DOPO PENTECOSTE (C)
Luca 18,24-30

Riflessione a cura di don Erminio Villa.

1. La felicità promessa

Agli occhi di chi crede nel successo a ogni costo il cristiano è un represso, un frustrato, in definitiva un infelice, perché rinuncia alle migliori e più intense gratificazioni della vita, rinchiudendosi in una gabbia di divieti.

Può sembrare dunque una clamorosa falsità quanto detto un giorno da Papa Benedetto: «Chi si affida a Gesù sperimenta già in questa vita la pace e la gioia del cuore, che il mondo non può dare, e non può nemmeno togliere una volta che Dio ce le ha donate». 

Questo era già il messaggio chiarissimo proclamato nella messa di inizio del pontificato: 

«Non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. 
Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo, e troverete la vera vita». 

Era la promessa evangelica, fatta da Gesù a chi lo segue fedelmente: non solo di ricevere la vita eterna  ma anche, «già ora, in questo tempo, cento volte tanto» (Mc 10, 30), pur insieme ad alcune sofferenze e nonostante, talvolta, le persecuzioni.

2. La felicità possibile

Che il cristiano possa sperimentare sentimenti di felicità, o comunque di contentezza durevole, «intender [fino in fondo] non lo può chi non lo prova», direbbe Dante; ma possiamo, sebbene solo in parte, provare a motivarlo. Dipende da come si vive da cristiani…

C’è un modo legalista e frustrante: quello di chi trascorre le sue giornate temendo di trasgredire doveri e curando di osservare norme; e c’è quello liberante di chi osserva – come è giusto – le norme, ma non le considera il fine della sua vita, perché quest’ultimo è piuttosto l’esercizio dell’amore a Dio e al prossimo. 

Ora, se si agisce per amore, ogni cosa diventa più lieve e, talvolta, diventa persino causa di felicità: lavorare per mero senso del dovere o solo per guadagnarmi da vivere può essere davvero pesante,  mentre farlo per amore di moglie e figli, e per amore di Dio se coltivo una vita interiore, è estremamente diverso.

È questo il vero senso della sentenza, tanto spesso travisata, di S. Agostino: «Ama e fa’ ciò che vuoi». Infatti, se amo qualcuno, quando faccio/ometto qualcosa per lui, faccio/ometto quello che voglio, perché l’amore mi fa agire volentieri. 

3. La felicità paradossale

Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma basta notare che ci sono persone accasciate dal dolore provocato da alcune malattie, che, nondimeno, si sentono interiormente felici, o almeno contente, perché, per amore, in vista del bene di qualcuno offrono a Dio il loro dolore.

Certo, la vita cristiana comporta anche delle rinunce, ma per raggiungere beni più profondi e durevoli, comporta un certo qual «perdere se stessi», ma per ritrovarsi più pienamente, poi: «Perdere qualcosa, anzi, se stessi per il vero Dio, il Dio dell’amore e della vita, è in realtà guadagnare, ritrovarsi più pienamente». 

È l’espressione del paradosso dell’amore, il quale, proprio donando, arricchisce chi dona.
I beni a cui rinuncia il cristiano appagano nell’immediato, ma, a lungo andare e – va sottolineato – non da subito, soddisfano sempre meno e lasciano sempre più assetati, come bere acqua salata. Tanto è vero che, spesso, gli uomini finiscono per disdegnarli una volta che li hanno conseguiti e ne cercano altri, e poi altri ancora, procedendo così «di brama in brama», come diceva un filosofo non certo cattolico come Hobbes. 

La relazione (beninteso se sostanziata di amore) con Dio, invece, non delude mai.

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don Erminio